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La fine dell'impero britannico

Autore: Erminio Fischetti
Testata: Fuorilemura
Data: 13 giugno 2011

La malinconica fine dell’impero britannico. La distinta e dinoccolata figura di un alto funzionario dell’impero, “orfano del raj” che ha visto la definitiva fine del suo mondo con l’indipendenza di Hong Kong nel 1997. Edward Feathers, soprannominato da colleghi e amici “Old Filth”, ovvero vecchia schifezza, è una figura speculare all’essenza di ciò che rappresenta. Sua moglie Betty, che ha visto morire i suoi genitori in un campo di concentramento a Shangai, è una raffinata ed elegante signora con guanti e cappello, a simboleggiare un mondo che non esiste più. O un muro dietro il quale nascondere se stessi e le proprie verità. Due figure, emblema di un universo lontano anni luce da oggi, ma che solo fino a pochi decenni fa rappresentava il punto di arrivo. Cresciuti e vissuti alla periferia dell’impero in Cina e in Malesia per approdare in un’Inghilterra nella quale non si sentono del tutto a loro agio. Senza famiglia, soli e senza amore. Nell’infanzia, nel pieno della vita, nella vecchiaia. Figure di spicco dell’alta società che avevano ottenuto tutto. Tranne, forse, la felicità.

Jane Gardam è autrice dalla prosa elegante e asciutta. Disegna un ritratto amaro del XX secolo britannico evidenziandone tutti i nervi scoperti: infanzia abbandonata, indifferenza, anaffettività, razzismo, solitudine, xenofobia, convenzioni e apparenze. Infatti, Gardam è spietata nel raccontare comportamenti e punti di vista dei suoi protagonisti (non a caso ha voluto fare le cose per bene concedendo a ciascuno dei due un romanzo), ma allo stesso tempo è anche piena di umana misericordia nei loro confronti. Perché in Old Filth e Betty ci sono tutti gli elementi tipici dell’Inghilterra coloniale, in particolare il giudice si rivela uomo impenetrabile attento alle convenzioni, incline a non mostrare i suoi sentimenti; anche Betty non gli è da meno per poi nascondere la sofferenza e la lacerante consapevolezza di non aver potuto esprimere il proprio amore. In comune segreti nascosti e violenze subite. La Storia così rientra nella sfera del privato e la fine di un’epoca e la dissoluzione del suo ordine sociale diventano una lettura critica nei suoi confronti ed un’apertura verso il futuro. La natura malinconica dei romanzi è verso le vite dei suoi protagonisti non certo verso quel periodo storico. Tutt’altro. Perché – sottolinea la scrittrice con la stessa compostezza dei sui personaggi – non c’è malinconia verso un mondo che ha distrutto vite e non è stato capace di amare i propri figli. In tal senso la sterilità di entrambi giunge come una manna da cielo segnando così la fine definitiva di quel modo di essere e di una strada senza via d’uscita.

Figlio dell’impero britannico e L’uomo col cappello di legno sono una visione stereoscopica del maschile e del femminile. Sembrano la risposta inglese al dittico americano Mr. Bridge e Mrs. Bridge di Evan S. Connell (il romanzo Mrs. Bridge fu pubblicato, sempre da edizioni e/o, nel lontano 1990, ora fuori catalogo), da cui fu tratto il film di James Ivory. Anche nel caso dei Feathers, là dove lui rimane tutto d’un pezzo e non sembra scorgere l’inquietudine del cambiamento dei tempi, lei ne è perfettamente consapevole e soffre a causa delle passioni sopite e dei rimpianti della propria esistenza. È un confronto-scontro fra emblema maschile e femminile, che viene fuori proprio dalla lettura di entrambi i romanzi e di entrambe le prospettive, uno da quello dell’uomo, l’altro da quello della donna. Ma se nei testi di Connell predomina la figura femminile, forse simbolo di un’America che si fa strada (d’altro canto il ‘900 è stato il grande secolo delle lotte per i diritti delle donne) e che vuole lasciarsi alle spalle il passato, in quelli della Gardam è la figura di Eddie Feathers a rappresentare maggiormente l’istinto di auto-conservazione di una poco gioiosa Gran Bretagna, sinonimo di vecchia e solitaria visione. D’altro canto, però, Old Filth e Betty sono virtuosa simbologia dei nefasti danni del governo britannico e non solo la loro più inamidata rappresentazione.

I due romanzi, in particolare il primo, sono una dolorosa analisi di violenza e infanzia defraudata, comportamenti e prospettive di persone grette e meschine, ma anche capaci di profonda auto-ironia e consapevoli di essere la fine di un meccanismo. In questo Jane Gardam non risparmia dettagli e metafore sottotestuali né tantomeno tutti i caleidoscopici sentimenti tipici del secolo appena trascorso: la colpa, la nostalgia, la perdita, l’amicizia e l’amore.


Jane Gardam
La veterana scrittrice inglese (classe 1928) costruisce differentemente i due romanzi affidando al primo una prosa meno lineare del secondo. Infatti, in Figlio dell’impero britannico la storia procede in maniera lenta e alternata fra passato e presente, attraverso flashback e flashforward narrativi dove vengono anticipati elementi futuri del racconto e ricordi appartenenti al passato dei protagonisti. In L’uomo col cappello di legno , invece, si procede attraverso una visione più cronologica e lineare rimarcando solo sporadicamente la struttura del primo volume del dittico. In entrambi i casi è notevole la qualità della scrittura e il rigore dell’analisi psicologica. E dovevano passare quarant’anni di carriera per vedere per la prima volta in Italia tradotta Jane Gardam attraverso i suoi due ultimi lavori in ordine di tempo (2004 e 2009).