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Il ragazzino cocciuto che galleggia tra i rifiuti vede un mare splendido

Autore: Lorenzo Marone
Testata: TuttoLibri - La Stampa
Data: 20 marzo 2021

Arriva da Taiwan Montagne e nuvole negli occhi di Wu Ming-yi, una favola surreale nella quale l’ambientazione cede alla narrazione grande fascino, una storia che si svolge in un mondo a noi lontano, dove, per intenderci, si gusta il caffè salama, miscela brasiliana con aggiunta di erbe e sorgo. È il racconto di un viaggio intrapreso da un adolescente della remota isola di Wayo-Wayo, voluta a suo tempo dal dio Kapanga. Atrei, questo il suo nome, come tutti i secondogeniti è costretto a prendere il largo, a Wayo-Wayo, infatti, i fratelli più piccoli devono abbandonare la famiglia e l’isola al compimento dei quindici anni e sfidare il nulla del vasto mare, donarsi a questo come sacrificio umano.

Atrei crede che il mondo sia un’isola che galleggia sull’oceano come un guscio di conchiglia, e grazie a] padre sa costruire barche resistenti, i telawaka li chiamano, imbarcazioni realizzate scavando un grosso tronco d’albero. Dicono sia il più bravo del villaggio. Ha il naso schiacciato, gli occhi infossati, la pelle luminosa, la schiena curva, e gli arti che sono frecce. Nelle movenze ha l’eleganza e la compostezza dei pesci, e dei pesci possiede anche la capacità di governare l’acqua, sa andare sotto, in apnea, per tornare con il pescato per la famiglia. Anche se la madre gli ripete sempre che a lui non serve conoscere il mare, lui non deve sfidarlo, ma concederglisi. Atrei la lascia parlare, in cuor suo sa che il destino può essere sovvertito, ha deciso che sarà il primo a sfidare la sorte, tenterà di sopravvivere alla traversata (nonostante con sé non abbia che una scorta d’acqua per dieci giorni), per tornare dalla sua amata Wusula, la più bella dell’isola. Anche Atrei è bello, sembra il figlio del dio del mare, e tutte le ragazze ne sono segretamente innamorate, sognano il giorno in cui le prenderà in un cespuglio per farle madri e mogli. Lui si lascia corteggiare, ma nel cuore ha spazio solo per Wusula.

Dall’altra parte del mare c’è Alice, che ha l’età di mezzo, e sulle spalle un vissuto doloroso. Alice che, al contrario di Atrei, non combatte per vivere, ma per morire, e pensa al suicidio. Vive nella grande casa sulla montagna che costruì con il marito, ha lo sguardo sull’immenso oceano sottostante, e cerca rifugio dal passato che la tormenta, dal ricordo di suo figlio, il piccolo Toto, scomparso col padre in una spedizione sulle alte cime. Attende che il mare venga a prendersela, quel mare che ogni anno erode sempre più la costa, e sale, sale, finché un giorno le onde saranno così grandi da tirarsi dietro la casa, la montagna, e forse l’isola stessa. E il suo dolore avrà fine.

Ma il mare, si sa, prende e dà, e un giorno regala ad Alice un’altra vita, un nuovo scopo, grazie a un ragazzino rigurgitato sulla spiaggia insieme alla melma e ai rifiuti. Un gigantesco accumulo di spazzatura galleggiante si è abbattuto su Taiwan come uno tsunami. È la tristemente famosa isola di plastica che fluttua nel Pacifico, un continente di spazzatura in costante crescita che si dice misuri circa 1,6 milioni di km² e contenga 80.000 tonnellate di rifiuti. Una superficie oltre tre volte quella della Francia, che devasta l’ecosistema uccidendo creature marine che soffocano dopo aver ingurgitato oggetti di ogni tipo.

Nel mare che si è preso la sua casa, Alice trova un gattino da accudire e un ragazzo più forte del mare stesso, la cui voglia di vivere supera in spinta la sua di morire. Con Atrei Alice attraversa le montagne alla ricerca delle tracce del marito e di suo figlio, nella speranza di risolvere il mistero della scomparsa di Toto. C’è nella narrazione l’accavallarsi di due mondi, di due linguaggi, uno onirico e carico di speranza, l’altro ancorato alla realtà, crudo e spietato, uno di Atrei, l’altro di Alice. Eppure, non c’è perdita d’intensità, inalterata resta l’attenzione del lettore. E verrebbe da dire che appaiono superflui, se non dannosi per il fluire della storia, gli altri personaggi, non centrali eppure presenti, che forse nulla aggiungono.

Un romanzo che racconta senza essere brutale il nostro essere brutali. Ma che non è solo denuncia dell’uomo e del suo modo assurdo di stare al mondo, del perdurare dei suoi sbagli, dei soprusi che commette sulle altre specie, dell’errata credenza che lo muove di essere al vertice di una piramide che non esiste. È anche e soprattutto omaggio alla parte nobile che ci abita e ci pone in armonia con il tutto, e ci spinge a rispettare le forze della natura, ci dona l’istinto di sopravvivenza che ci fa continuamente risorgere, nonostante il dolore.

A Wayo-Wayo, alla domanda «Com’è il mare oggi?» si risponde sempre e in ogni caso: «Splendido». Wu Ming-yi ci ricorda che le giornate sono tutte buone, e che il nostro compito primario è vivere il presente. E se c’è da fuggire, si fugge, se c’è da reagire, si reagisce, se c’è da morire, si muore. Per una cultura come la nostra, fondata sull’evitamento e la rimozione, un insegnamento non da poco.