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Tutto sulla fine di mia madre

Autore: Fabio Gambaro
Testata: Robinson
Data: 27 marzo 2021

«Le sole persone felici sono ex infelici». E il volto della felicità è sempre segnato da «mille rughe e cento cicatrici», giacché solo chi ha conosciuto il dolore e affrontato la tristezza può apprezzare appieno cosa significhi essere felici. E ciò vale soprattutto quando le cicatrici in questione sono quelle lasciate dalla perdita di una madre amatissima. Come è capitato qualche anno fa a Eric-Emmanuel Schmitt, che, disperato e inconsolabile, ha utilizzato la scrittura come una sorta di terapia per riemergere dal baratro in cui era precipitato dopo la scomparsa di colei che per cinquantasette anni gli aveva trasmesso «affetto, attenzione, considerazione, entusiasmo». È per questo che, nell’ormai vastissima bibliografia dello scrittore francese, Diario di un amore perduto merita un posto a parte. In queste pagine personalissime e disperate, infatti, a differenza di quanto ha sempre fatto in passato, il romanziere s’impone di braccare i fatti, rinunciando almeno momentaneamente all’invenzione letteraria e alla fantasia. Prova così a registrare la nuda realtà delle cose e delle emozioni per restituire fedelmente un’esperienza personale, limitandosi alla trascrizione di quanto ha vissuto e sofferto nei due anni successivi alla scomparsa della madre tanto amata. Due anni difficili, traumatici, dominati dal dolore, dalla tristezza e dal vuoto, due anni di crisi e lacrime, a combattere con le incertezze e i sensi di colpa, con la paura della solitudine e il senso di abbandono. Due anni che retrospettivamente appaiono allo scrittore come un lungo viaggio, inizialmente percepito come una sorta di “vagabondaggio” senza meta, erratico, fatto di andirivieni e arretramenti. Ma che in seguito si rivela essere “un percorso” preciso, un itinerario necessario che conduce l’autore ad accettare l’assenza di chi lo ha messo al mondo, non senza essersi prima confrontato con il proprio smarrimento e le proprie paure, passaggio indispensabile all’elaborazione del lutto. Per scrivere il suo diario di uomo inconsolabile, Schmitt ha scelto una forma frammentaria e composita in cui si alternano narrazioni e ricordi, dialoghi efficaci e meditazioni tristi, divagazioni saggistiche e appunti lapidari che sconfinano nell’aforisma, lasciandosi andare perfino a qualche tratto d’ironia e autoironia che gli consentono di sfuggire al patetismo dell’autocommiserazione. Tale scelta che mescola registri e stili diversi accentua l’impressione di una realtà colta in presa diretta, senza filtri letterari che ne alterino l’autenticità e l’immediatezza. Anche perché, tra i tanti modi di affrontare il lutto in letteratura, l’autore di Diario di un amore perduto ha scelto la postura della sincerità spietata, mettendosi a nudo senza sconti, mostrando le debolezze e le angosce che lo attanagliano, senza paura di intaccare la propria immagine di scrittore di successo, vincente e sicuro di sé. Come un entomologo testardo, Schmitt scandaglia e viviseziona ansie, emozioni e ricordi, facendo dell’introspezione lo strumento principe di un libro che vuole essere prima di tutto un coraggioso esercizio di lucidità. E mentre racconta il susseguirsi delle stazioni del lutto – l’annuncio, la scoperta delle modalità del decesso, il viaggio di ritorno a casa, i funerali, lo svuotamento della casa materna, la gestione dell’eredità, l’impossibilità di rimettersi a vivere, le insonnie, le tentazioni suicide, e poi il lento ritorno alla vita attraverso la scrittura e il teatro – il romanziere di Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano costruisce tassello dopo tassello l’intenso ritratto della madre, una ex sportiva dolce e dinamica, una donna colta e sensibile che gli ha trasmesso il culto delle arti e della letteratura, il gusto dei viaggi e un palato raffinato. «Io non sono soltanto carne della sua carne, sono mente della sua mente», scrive Schmitt mentre fa riemergere dal passato i ricordi felici di una complicità esemplare e senza ombre. La loro è stata una relazione ricca e intensa, ideale e idealizzata, a cui si contrappongono invece i rapporti complicati e conflittuali con il padre, per lunghi anni considerato dallo scrittore un vero e proprio “estraneo”. In questo modo allora il Diario di un amore perduto diventa un originale e frammentario romanzo di formazione, il racconto di un’educazione meno lineare e scontata di quanto si potesse immaginare, in cui trovano spazio riflessioni sulla scrittura e sul teatro, sulla musica e la psicanalisi, sul tempo che passa e sulla morte, nonché sull’assoluta necessità di riconquistare il gusto per la vita.