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Il ballo delle pazze

Autore: Francesca Battistella
Testata: Gli amanti dei libri
Data: 12 aprile 2021
URL: http://www.gliamantideilibri.it/il-ballo-delle-pazze/

Se volete soddisfare la vostra curiosità andate su Google Maps e digitate Salpêtrière. Vi apparirà una vasta area nel XII arrondissement di Parigi fatta di molti edifici, una chiesa dalla bella cupola e ampie zone verdi. Una cittadella a cui manca solo una cinta muraria e un ponte levatoio. Il gruppo ospedaliero della Pitié-Salpêtrière – conosciuto da molti per aver accolto a fine agosto del 1997 una morente Principessa Diana – nasce come fabbrica di polvere da sparo (da cui il nome: salpêtre – salnitro, componente della polvere nera). Riedificata nel 1656 dall’architetto Libéral Bruant per ordine del Re Sole, ha attraversato i secoli con la sua abominevole storia: prima come luogo di detenzione (Maison de force), in seguito, grazie a un ampliamento, di raccolta di prostitute e donne abbandonate le cui condizioni di internamento erano, a dir poco, indescrivibili e infine, nel 1788, di alienate. Nel settembre del 1792, in piena Rivoluzione Francese, i sanculotti riuscirono a liberare le prigioniere e:

“…le donne, felici di scappare da lì, erano state violentate e giustiziate per strada a colpi di ascia, randello o mazza.” (Pag. 76)

Finalmente, si fa per dire, nel 1862 il ventitreenne neurologo Jean-Martin Charcot entra alla Salpêtrière. Nel tempo, questo costituirà un cambiamento radicale nel trattamento delle donne ricoverate e nella qualità della loro detenzione.

Da qui ha inizio il ricco libro di esordio di Victoria Mas, Il ballo delle pazze. Siamo nel 1885 alla vigilia del Carnevale, unico momento dell’anno in cui le alienate della Salpêtrière possono mettersi in costume e partecipare a un singolare ricevimento che si svolge fra le mura dell’Hospice, ricevimento a cui è invitato il fior fiore della borghesia parigina. La follia del Carnevale rende, per una sera, lecita e accettata la follia delle internate.

Ma prima di arrivare all’evento clou del libro, la Mas ci accompagna nelle camerate delle ‘pazze’, la maggior parte delle quali pazze non sono. Era costume degli uomini dell’epoca – un costume, ahimè, protrattosi fin quasi ai nostri giorni – di liberarsi di figlie, mogli, sorelle, madri ribelli o depresse con il semplice artifizio di scaricarle in un manicomio – in questo caso la Salpêtrière – dichiarandole alienate e abbandonarle così al loro destino. Se è vero che Charcot sosteneva di aver trovato un modo per curare molti ‘malesseri’ femminili attribuendoli all’isteria, ciò aveva anche offerto una valida scusa a molti uomini per liberarsi di donne ‘disubbidienti’ o semplicemente capaci di pensare con la propria testa e non sottomesse.

“La Salpêtrière è un deposito per tutte quelle che disturbano l’ordine costituito, un manicomio per tutte quelle la cui sensibilità non corrisponde alle aspettative, una prigione per donne colpevoli di avere un’opinione.” (Pag. 29)

Questo è purtroppo il destino che attende una delle protagoniste, Eugénie, gravata dal terribile dono di comunicare con i morti, di vederli e ascoltarli. Di ottima famiglia e con un padre dominante e di mente chiusa, Eugénie finirà alla Salpêtrière. Qui conoscerà l’infermiera capo, l’algida Geneviève che ha dedicato l’intera esistenza ad assistere Charcot nel suo lavoro. Lavoro che include una rappresentazione settimanale e pubblica dove a turno alcune alienate, scelte per la loro bellezza e fascino, vengono sottoposte a ipnosi così da scatenare un attacco isterico sotto gli occhi della borghesia parigina avida di questo genere di spettacoli. È il destino dell’adolescente Louise che sogna di diventare celebre come un’altra famosa alienata di Charcot: Augustine.

Insieme ai caratteri principali la Mas ritrae un universo femminile abbandonato, confuso e sofferente a cui tutto è stato negato: la speranza e persino poter calcolare lo scorrere del tempo:

“L’assenza di orologi fa di ogni giorno un momento sospeso e interminabile. Tra quelle pareti in cui aspettano di essere viste da un medico il nemico fondamentale è il tempo, perché fa sorgere pensieri rimossi, smuove ricordi, solleva angosce, richiama rimpianti, e quel tempo che non sanno se finirà mai è più temuto del male di cui soffrono.” (Pag. 33)

La trentaquattrenne Victoria Mas ha vinto con questo libro il Premio Stanislas per l’opera prima. Un libro scritto con profonda leggerezza, e che si aggiunge di diritto e con piena dignità ai tanti altri pubblicati finora su questo argomento, per ricordare a tutti noi che l’emancipazione e le conquiste di questi ultimi anni sono passate attraverso secoli di incalcolabili dolori, atroci sofferenze e totale incomprensione dell’universo femminile. E che, purtroppo, niente di ciò che abbiamo ottenuto è un diritto acquisito per sempre.