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I morti non vogliono niente: La promessa di Damon Galgut

Autore: Leonardo Ducros
Testata: Altri animali
Data: 15 dicembre 2021
URL: http://www.altrianimali.it/2021/12/15/la-promessa-di-damon-galgut/

(...) Adeguando il piano narrativo a quello storico-politico, Galgut ignora, zittisce i personaggi neri. Non li sente, non li vede. Le uniche volte in cui leggiamo i loro pensieri ci arrivano per eufemismi, sono censurati. «Non è sempre possibile accontentare due bianchi contemporaneamente», pensa Lexington, l’autista degli Swart, quando il bianco che sta trasportando prova a sparlare dei suoi datori di lavoro. E questa frase è l’unica volta in tutto il romanzo in cui siamo davvero dentro al punto di vista di una persona nera in Sudafrica. Come Lexington non è libero di esprimersi ed è costretto a nascondere quello che pensa, così il narratore si limita a un’analisi superficiale delle vite e delle emozioni dei personaggi neri. Non è un caso che il peccato originale del romanzo, la promessa da cui parte tutto, sia una promessa fatta da Manie a Rachel. L’unica persona la cui vita verrebbe davvero influenzata da quanto promesso è Salome, ma lei non è neanche in scena in quel momento. Non sappiamo come si sente a vedersi negato il riconoscimento che la sua datrice di lavoro avrebbe voluto darle. Non sappiamo cosa pensa di Amor, che combatte affinché la promessa venga mantenuta. Non lo sappiamo perché non viene mai davvero presa in considerazione, dal narratore come dagli altri personaggi. Anton chiede a Manie di regalare la casa a Salome, ma lo fa solo per metterlo in difficoltà, per puro scontro padre-figlio. Amor si sforza per far mantenere la promessa, ma agisce per affetto nei confronti di Salome, la persona che l’ha cresciuta, o perché non sopporta che l’ultimo desiderio di sua madre rimanga inesaudito?

Oltre a essere un potente stratagemma letterario, l’omissione dei pensieri di Salome da parte di Galgut è una forma paradossale di rispetto. Un modo di ammettere i propri limiti storici e riprodurli in letteratura. Chi non riconosce i propri limiti, invece, è Amor. Appena ne ha la facoltà, Amor si allontana dalla famiglia in un gesto implicito di protesta; tornerà per i funerali successivi, e ogni volta chiederà debolmente di regalare la casa a Salome per poi autoesiliarsi di nuovo e tornare a un silenzio decennale. A cosa serve una strategia del genere, se non a guadagnare la consapevolezza autoconsolatoria di aver combattuto dalla parte del bene? Amor crede in quello che fa, combatte per qualcosa; da un punto di vista puramente morale, è l’unico personaggio positivo tra i protagonisti del romanzo. Ma quanto è inutile la sua austerità? Quanto sterile il suo senso di colpa? I suoi gesti sono vuoti, come le parole di suo padre.

Ma quando le parole le vengono dette ad alta voce, lei non ci crede. Chiude gli occhi e scuote la testa. No, no. Quello che le ha appena detto sua zia non può essere vero. Non è morto nessuno. È solo una parola. Guarda la parola, lì sulla scrivania come un insetto capovolto, senza alcuna spiegazione.

La promessa parla dello svuotamento di valore, ancor prima che di senso; per questo prende il titolo da un atto linguistico, da un segno e non da un significato. È la parola data, non una casa, a occupare il centro della narrazione, così come il peccato originale di Manie è nei confronti di Rachel e non di Salome. È un romanzo sulla distanza tra verità e linguaggio, sulla capacità di mentire e mentirsi per riscrivere la propria storia; è una bugia raccontata benissimo, e come tutte le buone bugie assomiglia a qualcosa di vero.