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Sesso, potere e nudi salvati sul telefono secondo Lillian Fishman

Autore: Valentina Della Seta
Testata: Rivista Studio
Data: 1 luglio 2022
URL: https://www.rivistastudio.com/spazio-griot-roma/

«A volte ci convinciamo di avere visto cose che non esistono». Lillian Fishman dice questa frase qualche minuto prima di iniziare una conversazione sul suo romanzo di esordio Servirsi. Sono le undici di mattina di un giorno caldo in una stanza luminosa nella sede della casa editrice e/o, dentro un bel palazzo di una strada non molto trafficata nel quartiere Prati a Roma. C’è l’editrice Eva Ferri, un’addetta stampa e un’altra scrittrice che è venuta a intervistare Fishman prima di me. Le parole di Fishman sono riferite a qualcosa di poco importante, scivolano tra le chiacchiere volatili di persone che si sono appena incontrate e le dimentico subito. Ma mi tornano in mente mentre trascrivo le risposte alle domande su Servirsi (uscito in Usa e Germania in contemporanea a maggio, a fine giugno in Italia con traduzione di Silvia Montis, e ai primi di luglio in UK), recensito con entusiasmo trasversale nelle pagine di critica culturale e su Tik Tok.

«Nel mio primo libro avrei voluto scrivere di qualcosa che non fosse legato al corpo, al sesso e al potere, ma questa storia non mi lasciava in pace» dice Fishman. Servirsi è narrato in prima persona da Eve, una ragazza queer della stessa età e provenienza di Fishman – ventisette anni, ricca cittadina del Massachusetts – che vive a New York, lavora in una caffetteria, abita con un’amica di nome Fatima e sta insieme alla medica Romi, che la adora e la va a prendere al lavoro munita di ombrello quando piove. La prima volta che la vediamo, Eve ci sta raccontando un segreto: «Avevo centinaia di nudi salvati sul telefono ma non li avevo mai mandati a nessuno». Poco dopo, decide di caricare alcune foto in rete. La mattina trova una montagna di messaggi e risponde a Olivia. Le sembra garbata, ma soprattutto è una ragazza. Ma Olivia, quando si conoscono, rivela di agire anche per conto di Nathan, il suo datore di lavoro e amante. Eve accetta di incontrarli insieme e si ritrova ad avere a che fare con qualcosa che va contro la sua appartenenza politica e sentimentale alla comunità queer: il desiderio nei confronti di un maschio. Un maschio giovane, affascinante, ricco (e abbastanza fastidioso, nella sua arroganza e certezza di potersi togliere ogni sfizio con uno schiocco di dita).

Qui Servirsi avrebbe potuto diventare facilmente un romanzo basato sulla convinzione di avere visto cose che non esistono. A me sono sempre piaciuti, i romanzi di struggimento e privazione, con la protagonista che fantastica su un’attrazione che crede corrisposta e non lo è mai. Negli anni sono stata al fianco di Eugenie Grandet e Emma Bovary, al fianco di Jay Gatsby. Ho consumato le pagine, ho coltivato amori fatti di attesa e di vuoti da riempire con l’immaginazione.

Al contrario, Eve in Servirsi ha una voce implacabile e analizza sé stessa e gli altri personaggi con spietata lucidità e consapevolezza teoretica: «Per la mia formazione accademica tendo naturalmente a scrivere in uno stile da saggistica filosofica: il libro era pieno di analisi. Ma le prime persone che lo hanno letto mi hanno consigliato di rendere il materiale più organicamente fuso dentro l’azione di ogni scena».

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