(...) Prendiamo Servirsi di Lillian Fishman, pubblicato in Italia da e/o nella traduzione di Silvia Montis. Qui, Eve conosce online Olivia e Nathan, e intraprende con loro una relazione sessuale i cui dettagli la sorprendono a ogni incontro. Primo, perché nella sua vita c'è già una partner stabile e praticamente perfetta, Romi, che non aveva mai sentito l'esigenza di tradire. Secondo, perché non era mai stata attratta da un uomo, mentre alla sola vista di Nathan prova «sollievo ed eccitazione, lo sconfinato, melodioso piacere» di trovarsi «sola con la vastità della sua attenzione». Terzo, perché il godimento che trae dal sottomettersi a lui - ricco, carismatico, un po' cinico - si scontra con le idee, i desideri e i sentimenti della giovane donna queer e femminista in cui si è sempre orgogliosamente riconosciuta. «Finora non ho fatto altro che rinchiudermi in una trappola ideologica» penserà, a un certo punto, «proprio come quella che avrei affrontato cinquant'anni fa, solo al contrario».
Servirsi è l'esempio più recente di come, oggi, raccontare il sesso significhi soprattutto pensare attraverso il sesso e interpretare i comportamenti collettivi a partire da quelli privati. Nel descrivere un personaggio inconsciamente stanco della propria routine di donna libera ed emancipata, Fishman ci suggerisce che le provocazioni un tempo funzionali a sentirsi bene con sé stessi e a spezzare la monotonia dell'esistenza, oggi sono parte integrante di quella monotonia, ma anche l'unico piccone capace di scalfirla nuovamente (e all'infinito) dall'interno. «Sono cresciuta parlando di sesso come di qualcosa che le donne dovrebbero vivere come pare e piace a loro, di libertà sessuale come culmine dell'esperienza, al di là di ogni morale o mentalità provinciale» dice Eve a Olivia e Nathan, durante uno dei loro incontri. «Quindi dovrei credere che non posso danneggiare me stessa, che le cose non possono farmi male se le scelgo io, se le vedo per quello che sono. Ma questa non è forse la più profonda sottomissione al potere, al dominio maschile?». Nathan ribatte per primo, d'impulso - «Non ti piace quando stiamo insieme? Non scegli di tornare qui di continuo?» -, ma è la risposta di Olivia a fare la differenza: «Non ti sembra stupendo tutto questo? Non ti sembra profondamente buono?».
Amare è una cosa buona, e dare piacere a un altro - non importa come - un gesto tra i più generosi. Se suona come una novità è perché i criteri con cui stabiliamo se qualcuno è «buono» o «non buono» corrispondono a valori e convenzioni borghesi, secondo i quali l'immateriale è sempre più importante del corpo, o di ciò che il corpo chiede ed è capace di offrire. Eppure, nonostante il suo piazzamento nella gerarchia conformista delle cose serie, commentare o descrivere il sesso genera ancora molto turbamento. Persino Nathan, che in Servirsi è il capofila della rivoluzione, si ritrae dai dibattiti sul tema, dimostrando di pensarla (in parte) come Douglas Bush: «Non sono cose di cui possiamo parlare apertamente» dice. «Non si può togliere il telo che copre il dipinto. Così si rischia di rovinare tutto».
È una prospettiva interessante. La reticenza verbale, ma mai fisica, dell'unico uomo sulla scena fa pensare che a non voler parlare orizzontalmente di sesso, e a ritenere le indagini in proposito rischiose e spoetizzanti, sia chi, dal sesso, ha tratto sempre e solo beneficio. È un caso se molti libri che oggi problematizzano il desiderio - nel modo nuovo in cui lo fanno le Fishman, le Naoise Dolan, le Sally Rooney - siano, appunto, scritti da donne? Probabilmente no. Come non è un caso che, in questi romanzi, la fantasia sessuale più diffusa sia quella della sottomissione. L'inafferrabile Nathan (dominatore scherzoso e sorridente, a sottolineare la distanza dell'idea di Fishman dai cliché in stile Christian Grey) è una metafora della difficoltà di stringere un legame, ovvero del conflitto più eccitante, attuale e romanzesco dell'esperienza umana tutta. (...)