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Ruth allo specchio

Autore: Letizia Rittatore Vonwiller
Testata: Amica
Data: 30 agosto 2022

L'ESPERIMENTO è stato un calvario, «ma doveva esserlo. A volte sono necessarie prove per farci vedere il mondo con occhi nuovi», dice Ruth Ozeki, autrice di Storia della mia faccia (edizioni e/o). La regista, che vive fra New York e Vancouver e dal 2010 è prete buddista («non monaca, perché sono sposata e vivo nel mondo laico»), ha scritto un memoir-racconto su tre ore passate a guardarsi allo specchio. Ne è nata un'attenta esplorazione sociologica, politica, poetica, filosofica, spirituale e sentimentale. Che è stata l'occasione per raccontare alcuni aspetti della sua vita e delle sue difficoltà di ragazza, figlia di madre giapponese e padre americano, negli Anni 50-60. «Una decade prima che nascessi, le mie due metà erano state in guerra tra loro. Persino in tenera età ne ero consapevole. Spesso quelle due parti dentro di me sembravano in conflitto. Scrivere degli effetti che il mio viso ha avuto sul modo in cui sono stata percepita e di come abbia complicato il mio venire a patti con l'identità razziale e sessuale mi ha conciliato con me stessa. Il mio volto, che incarnava quell'inimicizia, era anche la prova del suo opposto: l'amore dei miei genitori che mi ha creato», sottolinea Ozeki. L'autrice anche del commovente Il libro della forma e del vuoto ci invita a fare la sua stessa esperienza, per scoprire qualcosa di inedito su di noi. Un esercizio zen. Perché ha voluto guardarsi allo specchio per tre ore? Quando tempo fa sono stata invitata a scrivere un saggio sul volto, ho pensato di partecipare con un contributo autobiografico. Rispondendo a domande del tipo: "Quali storie racconta il mio viso? Come cambia negli anni e come mi connette con il passato e il futuro?". Nasciamo con una faccia e moriremo con un'altra e, nel mezzo, il viso viaggia nel tempo, evolvendosi e adeguandosi alle scelte di vita. Ma poi mi sono detta: " Non posso scrivere della mia faccia! Non mi piace nemmeno! Non è interessante. Non amo guardarla. E, se ne scrivo, la gente penserà che sono vanitosa!". Alla fine mi sono convinta e, quando è uscito il libro, ho saputo che molti poi avevano fatto l'esperimento. Con quali benefici? È un'esperienza a tempo indeterminato, con l'obiettivo di vedere che cosa nasce nella mente e nel cuore. Pensieri, ricordi piacevoli, tristi, felici, simpatie, antipatie. Ora, quando mi guardo allo specchio, so di più sul mio rapporto con il viso. Lo vedo in un contesto più ampio, che include i miei genitori, i miei nonni e tutto il mio io più giovane. Ricordo come ho lottato con il mio aspetto. E provo empatia. Tre ore sono tante... Bisogna sentirsi a disagio e annoiarsi. Forse due ore o un'ora sono sufficienti. Forse imparerai qualcosa su te stesso. Forse il tuo viso ti rivelerà qualcosa di nuovo. Forse deciderai, invece, di smettere e controllare i social media. È più veloce fare un selfie e pubblicarlo, ma è un altro tipo di esperienza. Mentre mi guardavo ho iniziato a vedere la faccia che avevo quando ero piccola, metà giapponese e metà bianca, poi quella dell'adolescente che nascondeva la sua depressione dietro una cortina di capelli neri. Ho visto i tratti amati e odiati per tutta la vita: il naso irregolare del nonno, il sorriso storto della mamma, gli occhi tristi e larghi di mio padre... È stata una sensazione molto intima. Dopo ci si accetta di più? Non ho imparato a riconoscere la bellezza del viso, ma ho intravisto la mia umanità: i miei legami con i genitori, gli antenati giapponesi e quelli anglo-europei, l'orgoglio, la vanità, le insicurezze e i punti di forza. E sono stata in grado di provare anche gratitudine. (...)