Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

La Cambogia perduta di Saravuth

Autore: Eugenio Giannetta
Testata: Avvenire
Data: 19 ottobre 2022

Fuggito undicenne da Phnom Penh nel 1971, fu prima profugo poi esule in America. Tra Odissea e Peter Pan, Guillame Sire ne narra la vicenda «A causa della guerra non si può mai tornare veramente. È questo che la guerra fa alle persone: le porta fuori dalla loro casa e dalla loro testa. E allora non si potrà mai tornare davvero a ciò che si era prima»

A New York fino a qualche anno fa era possibile imbattersi in Saravuth alle scacchiere di Union Square. Lì, per cinque dollari a partita, si guadagnava da vivere giorno dopo giorno. Fin qui è una storia come tante altre. C'è però una parte di storia che precede questa ed è la sua storia di un'odissea che l'ha visto arrivare negli Stati Uniti dalla Cambogia da adolescente, durante la guerra, dove perse la sua famiglia. Sfortunatamente, la sua speranza di una vita migliore negli Stati Uniti è rimasta un'illusione, come è stato raccontato in un documentario su di lui del 2011. E ora questa storia ha ispirato un libro, Prima della fiammata rossa (e/o, pagine 284, euro 19,00) di Guillame Sire. Siamo nel 1971, quando la guerra arriva a Phnom Penh, capitale della Cambogia. Saravuth, 11 anni, si ritrova proiettato in un mondo ostile popolato da gente armata e coccodrilli, torme di sfollati e cadaveri che galleggiano sul Mekong, tigri affamate e streghe rintanate nel folto della foresta. Saravuth è figlio di una professoressa di letteratura al liceo francese di Phnom Penh e di un modesto funzionario amministrativo. È un bambino pieno d'immaginazione, che insieme alla sorellina Dara ascolta rapito la madre quando gli legge Peter Pan o l' Odissea , e ha un talento per gli scacchi.

Come è nata l'idea per scrivere questo romanzo?

Ho vissuto in Canada per tre anni, tra il 2004 e il 2007. Lì ho incontrato Saravuth, che mi disse che viveva in strada. Mi ha parlato di questa guerra, di ciò che aveva significato, e siamo diventati amici. All'epoca ero giovane e avevo pubblicato il mio primo romanzo. Gli promisi che un giorno, quando avrei avuto abbastanza tecnica per poterlo scrivere, avrei scritto di lui. E così è stato.

Tra i temi del libro c'è quello relativo allo status di rifugiati.

Per registrare i ricordi serve la lingua. Se a 11 anni per esempio lasci l'Italia e vai in un Paese completamente diverso, per esempio il Giappone, dove la gente parla solo giapponese, impari il giapponese, ma se dimentichi l'italiano perdi tutto e forse anche tutti i ricordi che hai registrato in quella lingua, perché è come una chiavetta del computer. Se non hai più la chiavetta è perché non hai più la lingua. Se non hai più il dispositivo di registrazione non hai più i ricordi. A causa dello sfollamento Saravuth ha perso la lingua e i suoi ricordi. (...)