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Il fascino selvaggio del paesino

Autore: Paola Testoni
Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 10 novembre 2022
URL: https://www.ilsole24ore.com/art/il-fascino-selvaggio-paesino-AEtpBkBC?refresh_ce=1

Una scena forte apre l’opera prima di Sandro Baldoni, “Occhi selvaggi”. E' il crudo benvenuto di una realtà sconosciuta dove il protagonista, bambino, andrà a vivere. Il piccolo Marco Primavera infatti fa, con la sua famiglia, il percorso inverso della maggior parte degli italiani degli anni '60: dalla città si trasferisce in un isolato paesino di montagna.

Comincia qui un percorso di iniziazione che il bimbo farà, insieme al lettore, alla scoperta di un nuovo mondo con le sue lealtà e le sue leggi, a volte crudeli, a volte divertenti e tenere: in definitiva con la sua cultura così unica e molto diversa da quella che il bambino ha vissuto fino ad allora, in città.

Il cuore di Marco si forma imparando contemporaneamente dal fascino selvaggio del paesino, della sua gente e della sua natura, e, a contrasto, dai valori e dai fatti che ascolta e vive in famiglia (la scomparsa della madre, la relazione con i fratelli e gli insegnamenti paterni prima assorbiti e poi vagliati in maniera sempre più adulta e disincantata). Il tono soave della prima parte della narrazione, raccontata da un bambino solitario e osservatore, diventa sempre più forte e maturo, capace di coinvolgere progressivamente il lettore in maniera empatica e divertita. Seguiamo quindi il protagonista in questa “educazione sentimentale” raccontata in prima persona, scoprendo di avere tanto in comune con quella generazione di passaggio che cresce dimenticando una certa innocenza per far spazio ad un rassegnato senso realistico delle cose e dei fatti.

Ma Marco non è da solo, l'altro protagonista del libro è proprio la famiglia che pian piano si svela ogni volta che Marco, nell'evolversi della vita, ci apre qualche sipario. Lo farà senza aggiungere ai fatti il peso del giudizio nella convinzione che è proprio la famiglia, con tutte le sue imperfezioni, il nostro vero punto di riferimento, il rifugio dove andare dopo aver inciampato in convinzioni sbagliate ed essere caduti, in definitiva quando ci ritroviamo soli. Lasciamo all'autore Sandro Baldoni (Assisi, 1954) scrittore con una lunga carriera di regista e sceneggiatore, il compito di raccontarsi.

Qual è la genesi del libro? Nasce da un'intuizione o è un progetto pensato da tempo?

«Da un po' di tempo mi ripetevo spesso che avrei dovuto/voluto raccontare quell'ultimo periodo fecondo della civiltà rurale che si è realizzato in Italia negli anni '60 e che ho vissuto direttamente, da bambino. I paesi italiani, i villaggi contadini dell'entroterra, erano allora ancora capaci di generare un tipo di cultura autoctona, viva, originale, feconda, diversa da quella delle città. Né migliore e né peggiore, solamente diversa e portatrice di valori altrettanto importanti di quelli della città. Oggi i paesi, ormai quasi completamente spopolati, non generano più nessun tipo di cultura. Al loro posto sono nati i cosiddetti “borghi”: agglomerati di seconde case che vivono solo d'estate. Negli anni '60/'70 tra campagna e città c'era ancora uno scambio, ora la civiltà metropolitana ha trionfato, tutto si è uniformato, la campagna subisce il pensiero unico e non riesce più a proporre nulla di autoctono se non l'aria buona e i bei paesaggi per fare da sfondo ai selfie.”Occhi selvaggi” non è però un “come eravamo” nostalgico.In testa avevo una ballata blues, per tono e ritmo: quasi un componimento scritto per musica e danza in cui si racconta l'infanzia e l'adolescenza di un bambino catapultato in una realtà diversa. La scrittura ha cominciato a concretizzarsi nel periodo seguente al terremoto del 2016, nelle montagna tra Umbria e Marche, quando ho cominciato a girare il documentario “La Botta Grossa” (2017). In quelle notti d'inverno in cui le case del paese non erano più agibili e si viveva in un centinaio tutti assieme in un grande capannone, ho visto riaffiorare segni di quella civiltà: una solidarietà e un dialogo (anche aspro e ironico) tra le persone che mi ricordava i tempi andati. In quella situazione di emergenza m'è sembrato che l'interazione, il dialogo e la capacità di autodeterminazione collettiva del paese si fossero risvegliati e stessero ricreando qualcosa di antico e contemporaneamente inedito, che la vicinanza fisica avesse riacceso una solidarietà capace di creare di nuovo un pensiero indipendente e originale. Allora, dopo aver registrato il presente nel documentario, ho cominciato a scrivere del passato.Quello che particolarmente convince nel romanzo, raccontato in prima persona, è che la visione del mondo cambia, si allarga e matura contemporaneamente all'età del protagonista. La sua coscienza cresce e noi con lui viviamo tutti i passaggi di questa crescita: diventiamo adulti insieme».

(...)