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Le due ragazze rapite non hanno nient'altro che due vite da raccontarsi

Autore: Laura Pezzino
Testata: La Stampa - Tuttolibri
Data: 12 novembre 2022

«Raccontami ancora qualcosa di te. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo». Se, come diceva il poeta operaio Thierry Metz, «la parola nidifica», lo fa di preferenza nei posti piccoli e chiusi. Piccola, chiusa e claustrofobica è di certo la stanzetta nella quale Nwabulu e Julie, due donne senza legami apparenti, si trovano rinchiuse dopo essere state rapite da sconosciuti mentre guidavano lungo una strada periferica. Siamo nella Nigeria del 2011, un Paese in crescita, tante opportunità, la classe media che avanza, ma per quanti vadano avanti, molti di più restano indietro. Dilaga la disoccupazione e ancora di più l'avidità e allora per taluni i sequestri possono diventare un'alternativa. È a questo esatto incrocio con una Storia che è molto più grande di loro che le due protagoniste di Due vite, due donne dell'autrice nigeriana Cheluchi Onyemelukwe-Onoubia decidono di scambiarsi le reciproche storie. Per farsi compagnia, per farsi coraggio, come il ragazzo che canticchia quando passa davanti al cimitero, come è sempre accaduto dall'alba dei tempi. Incomincia Nwabulu che, nata bellissima in una famiglia poverissima, orfana di madre, poi anche di padre e con una matrigna cattiva ad allevarla - una specie di Cenerentola di etnia Igbo -, viene mandata a servizio nella casa di ricchi. Qui, ingenua e giovane come è, si innamora del figlio del vicino che, appena viene a sapere di avere messo incinta la domestica, la abbandona costringendola a tornare dalla matrigna cattiva. La storia di Julie parte, invece, dal lato opposto: la sua è una famiglia dell'upper class, studia, diventa insegnante, ma nonostante ciò non sa resistere alle pressioni della madre per la quale «rimani una bambina e una figlia finché non diventi una moglie». Così a 34 anni, per non finire a fare lo «scarto», architetta di fare da seconda moglie (in un contesto in cui la poligamia è accettata) a un uomo benestante promettendogli di dargli il figlio maschio tanto agognato. È quando scopre di non poter restare incinta che la sua storia imbocca la strada che la porterà, molti anni dopo, in quella angusta stanzetta assieme a Nwabulu.

Due vite, due donne, che è stato paragonato al classico della letteratura nigeriana The Joys of Motherhood di Buchi Emecheta (uno dei preferiti di Chimamanda Ngozi Adichie) ripercorre quarant'anni della storia della Nigeria vista dal punto di vista di chi, in quella storia, non ha mai preso veramente parte. In un susseguirsi di colpi di scena da montagne russe, Onyemelukwe-Onoubia interroga i valori di una società che, nonostante il progresso, continua a puntellarsi sulla disuguaglianza di genere, l'abuso e il classismo. Quello che resta, alla fine, quello salva, è soltanto la capacità che hanno certe donne sagge e fortunate di essere amiche e sostenersi a vicenda.

«Fare l'avvocata mi dà la possibilità di realizzare cose che difficilmente potrei ottenere con la scrittura. Ma anche la scrittura ha una sua utilità». Oltre a praticare la professione, Cheluchi Onyemelukwe-Onuobia insegna diritto alla Babcock University di Lagos, in Nigeria. I suoi ambiti di specializzazione sono la salute, la migrazione, la tratta di donne e bambini. Che sia riuscita a ritagliare del tempo per scrivere un primo romanzo, Due vite, due donne, insignito tra l'altro del cospicuo Nigerian Prize for Literature, ha dell'acrobatico. Le due donne del titolo sono Nwabulu e Julie - classi, destini, opportunità e problemi lontanissimi tra loro- che si ritrovano rinchiuse nella stessa stanza da misteriosi rapitori e che, raccontandosi le reciproche vite, capiscono di essere legate da vincoli indissolubili. Nel romanzo si trovano anche, traghettate attraverso una storia page-turner, tematiche come la protezione dell'infanzia e la violenza di genere, anche se l'autrice esclude una diretta influenza del suo «primo» lavoro.

Come è entrata la letteratura nella sua vita e quanto spazio occupa?

«La letteratura è stata il mio primo amore. Ho sempre immaginato di essere una scrittrice, ancor prima di pensare di andare all'università e studiare Legge. Quando finii il dottorato, in Canada, mi dissi che prima di fare qualsiasi altra cosa avrei dovuto provare a scrivere questo libro, correndo anche il rischio di non vederlo mai pubblicato. La verità è che oggi per me è difficilissimo trovare il tempo per scrivere, e sono certa che anche gli editori del mio secondo libro potrebbero confermarglielo».

Che cosa ha ispirato questo romanzo?

«Il racconto su un bambino scomparso che mia madre mi fece una volta in cui venne a trovarmi in Canada. Era una storia che diceva molto di come vivevano le donne in Nigeria negli anni Ottanta, quando sono cresciuta io, e anche di come in realtà fossero gli uomini a possedere i propri figli, soprattutto se maschi. Ci sono state molte donne che, dopo avere divorziato dai mariti, sono state costrette a consegnare i propri bambini all'ex marito e alla sua famiglia. Ma se devo essere sincera, la cosa che mi colpì di più, la volta in cui mia madre mi raccontò quella storia, fu la sua sorpresa di fronte alla mia rabbia per una violenza che, in quel contesto, veniva considerata da tutti perfettamente normale».

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