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La mia Bielorussia un Paese in coma

Autore: Federica Lavarini
Testata: Corriere della Sera - La Lettura
Data: 4 dicembre 2022

Alla vigilia della consegna del Nobel per la Pace ad Ales Bialiatski, abbiamo intervistato il connazionale Sasa Filipenko , scrittore in autoesilio.

«L'Europa deve fare di più, troppi soffrono ditotalgia , la nostalgia dei regimi totalitari»

Alla vigilia della cerimonia di conferimento del Premio Nobel per la Pace, il 10 dicembre a Oslo, continua a suscitare preoccupazione, per le sue condizioni, l'assenza del fondatore dell'organizzazione umanitaria in difesa dei prigionieri politici bielorussi «Viasna», Ales Bialiatski, laureato di questa edizione assieme alla russa «Memorial» e all'ucraina «Center for Civil Liberties». Bialiatski si trova in carcere dall'estate 2021, ufficialmente con l'accusa di evasione fiscale. Sarà la moglie, Natallia Pinchuk, a tenere la prolusione.

La sede di «Viasna» è a Minsk, capitale della Bielorussia, nello stesso edificio dove abitava Sasa Filipenko, autore dei romanzi Croci rosse ed Ex figlio (entrambi pubblicati in Italia da e/o), prima che ricevesse una telefonata che gli consigliava di lasciare al più presto il Paese. Durante le proteste del 2020 la sua foto apparve sulla prima pagina di un quotidiano nazionale, terzo nella «lista dei bielorussi famosi che protestano» pubblicata nell'articolo. «Vedevo molto spesso Bialiatski - racconta Filipenko a "la Lettura" - ma era tale la sua importanza che non ho mai avuto il coraggio di avvicinarmi a lui, anche quando io stesso ero diventato uno scrittore riconosciuto. Per me era paragonabile ad Andreij Sacharov».

I libri di Filipenko sono censurati in patria, ma godono di traduzioni in quindici lingue, circolano via Telegram e, nel 2020, moltissimi ragazzi si sono filmati durante la lettura di parti di Ex figlio poi diffuse tra i manifestanti.

Signor Filipenko, quali sono le accuse che lo Stato bielorusso ha mosso nei suoi confronti?

«In Bielorussia prima ti arrestano e poi costruiscono le accuse in tribunale. Dopo varie peregrinazioni tra Russia e Austria, ero volato a Mosca come finalista del Premio Jasnaja Poljana su invito degli organizzatori. Venni fermato in aeroporto e posto in stato di arresto, ma la polizia mi rilasciò dopo un giorno poiché mi riteneva un personaggio troppo in vista. Da due anni vivo a Basilea e, da quanto leggo sui giornali, ho almeno tre capi d'imputazione: estremismo, apologia di fascismo, preparazione di un colpo di Stato. Perciò, quando incontro i lettori, dico sempre loro che stanno incontrando una persona molto pericolosa».

Come hanno accolto i bielorussi l'assegnazione del Nobel a Bialiatski, fortemente criticato da Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino Zelensky?

«I bielorussi si sono rallegrati come di una piccola bella notizia in mezzo a giornate di solite, comuni, brutte notizie. Trovo però molto strana la reazione ucraina, considerato che Podolyak ha lavorato in Bielorussia, è stato deportato e conosce la situazione. D'altra parte, va considerata la situazione diplomatica: l'Ucraina cerca costantemente di attirare l'attenzione sulla propria causa, che io condivido e sostengo, ma questo condiziona alcuni comportamenti di Zelensky verso il vicino bielorusso: è l'unico presidente europeo che, per non irritare il presidente Lukashenko, non ha incontrato Sviatlana Tsikhanouskaya, candidata dell'opposizione alle presidenziali del 2020 contro lo stesso Lukashenko». (...)