Ha cambiato stivali e le note del blues che scandiscono le sue giornate hanno lasciato il posto ai suoni metallici degli spari che costellano le pagine della sua ultima indagine. Stiamo scrivendo dell'Alligatore, il personaggio nato dalla penna di Massimo Carlotto, che in nessuna cortesia all'uscita ha abbandonato i profumi e i paesaggi sardi per far ritorno alla sua amata Padova. L'Alligatore continua sempre il mestiere di investigatore privato, ma ha acquistato un locale dove si suona ovviamente Blues e scandisce le ore del giorno bevendo miscele esplosive di alcool.
E' diventato un tantino più melanconico del solito, ma continua a lanciare giudizi taglienti su un mondo diventato quasi irriconoscibile. In questa indagine non ci sono molti misteri da svelare e la matassa da sbrogliare è costituita solo da un adepto di una banda malavitosa convinto che il suo capo lo vuol far fuori. L'Alligatore deve far solo da paciere, un ruolo che ha già svolto quando ha conosciuto le patrie galere per una storiaccia a metà strada tra la politica e l'assunto morale che gli amici non si vendono per salvarsi il fondo dei pantaloni. Soltanto che la banda in questione è la cosiddetta mafia del Brenta, un'organizzazione criminale in rapida trasformazione a causa dell'arrivo di temibili e feroci concorrenti, cioè gli albanesi, i russi, i turchi e i maghrebini che vogliono strappare agli italiani la leadership nel traffico di eroina, nello sfruttamento della prostituzione e nel commercio illegale delle armi.
Massimo Carlotto è però un abilissimo scrittore che sfrutta le detective stories per raccontare come è cambiata la realtà italiana. Lo ha fatto già negli altri due romanzi - La verità dell'Alligatore ed Il Mistero di Mangiabarche- ma le atmosfere e lo sfondo sociale restituivano la transizione tra il recente passato della storia repubblicana e un opachissimo presente dopo la sconfitta dei movimenti sovversivi degli anni Settanta. Comprimari dell'Alligatore erano i detriti e i residui passivi di quegli anni, nonché qualche malcapitato nelle maglie della giustizia proprio per la militanza in quei movimenti sovversivi, In questa avventura, invece, Carlotto affronta di petto il miracoloso Nordest e il ruolo della magistratura nell'affrontare le tante emergenze criminali di questo paese.
Tutti lavorano nel Nord-est, tutti possono arricchirsi nella bassa padovana, a patto però che sfruttino i << dannati della terra >> che, fuggendo la miseria dall'Albania o dall'assenza di futuro che plasma la vita in quelle terre di nessuno del defunto socialismo reale, sono approdati sulle rive del Brenta. La ricchezza nasce dall'illegalità, è il commento che sfugge ad un personaggio minore di Nessuna cortesia all'uscita. E non può essere che l'illegalità il cemento di una comunità di produttori che magari si commuove e piange per la ragazza albanese costretta a prostituirsi e scambiata come una schiava per sancire la pace tra due bande rivali, ma che poi rinchiude altre donne e uomini nelle fabbrichette della Padania, veri e propri lager dove non sfigurerebbe la scritta " Il lavoro rende liberi".
Filo conduttore è però la mafia del Brenta, strutturata come un'organizzazione piramidale che ha un capo, tanti manager e altrettanti subordinati del crimine. Soltanto che le cose sono cambiate e bisogna riconvertire i capitali accumulati in attività lecite, magari nell'empireo della finanza che si adopera con solerzia per esportare quel modello sociale fondato sull'illegalità in Ungheria o in Romania. E per questo vanno sterminati tutti quelli che possono impedire il mutamento di pelle. Gli unici oppositori non sono i magistrati, che anzi trattano la delazione del top management dell'associazione a delinquere nei confronti dei "lavoranti" in cambio dell'immunità.
E cosa dire di polizia e carabinieri che si comportano come corpi separati dello stato che non rispettano le leggi che pure dovrebbero far rispettare? No, tocca all'Alligatore, al malavitoso old style Rossini e a un clandestino degli anni Settanta fare qualcosa per impedire questa infamia. Ma per fare questo non può essere usata nessuna cortesia e alle parole sostituire le stesse armi dei nemici. E se per i "cattivi" il fine giustifica i mezzi, lo stesso vale per i "buoni". Così Padova, da cittadina sonnacchiosa e perbene diventa il teatro di uno scontro condotto con tutti i mezzi possibili.
Belle pagine, quelle che raccontano le notti con la nebbia o dei porticati dove risuonano le canzoni di una bellissima donna o i colpi sparati per stendere il cattivo di turno. l'Alligatore non ama la violenza, ma in questo caso uno strappo si può fare alla scelta non-violenta. Il romanzo diventa così un noir molto hard, dove l'antica etica della malavita non ha più diritto di cittadinanza.
Deve essere costato molto a Massimo Carlotto scoprire cosa è diventata Padova negli anni della sua forzata assenza. Deve aver letto molto - il romanzo è intervallato anche da estratti delle udienze del processo "vero", alla mafia del Brenta- sui fatti e gli eventi che hanno riempito le pagine dei giornali veneti, e come un bravissimo cronista ha stabilito dei collegamenti, dedotto conclusioni che si avvicinano molto a quello che è successo veramente. Cosa non facile, ma ci troviamo sempre di fronte al libro di un autore che con la fiction riesce sempre a dire qualcosa in più di tanti saggi sul miracoloso nord-est o sui rapporti tra politica e magistratura.