Viola Di Grado, ventitrè anni, nata a Catania ma residente a Londra dopo essere transitata a Leeds per un anno di Erasmus, vincitrice del Premio Campiello Opera Prima 2011 con “Settanta acrilico trenta lana” (cliccate qui per leggere la nostra recensione), arriva al nostro incontro dopo aver gironzolato un po’ di tempo tra gli scaffali della libreria del Festival: indossa un paio di occhiali rossi stile Lolita, un braccialetto ricavato da una lattina di coca-cola e una collana di lettere colorate, che insieme al rossetto viola ne fanno quasi un personaggio da graphic novel orientale. La circonda un’aura di fascino e mistero che spinge chi le sta di fronte a volerne sapere di più, a conoscere meglio questa giovane scrittrice che al suo esordio ha collezionato una serie impressionante di recensioni entusiaste che ne esaltano la scrittura come una ventata di freschezza nel panorama letterario italiano contemporaneo: e noi abbiamo provato a farlo, attraverso un’intervista che ha guardato al suo passato, al suo presente e al suo speriamo florido futuro.
Intervistatore: Come sei arrivata a “Settanta acrilico trenta lana”? Hai avuto dei modelli letterari?
Autrice: Scrivo tantissimo da quando ero piccola, ho scritto altri romanzi ma quando ho finito “Settanta acrilico” in particolare ci credevo molto. Diciamo che per gli altri non ero convinta al 100%, mentre per questo ero convinta… 70% e 30%!
Meno male che il 70% ha prevalso allora…
In realtà, essendo una pessimista cosmica, ero convinta al 30% e non convinta al 70. Infatti non mi aspettavo tutto questo successo!
Cosa scrivevi da piccola, e soprattutto cosa leggevi?
Il mio mito in assoluto è sempre stato Virginia Woolf, infatti oggi parteciperò all’incontro con sua nipote, Angelica Garnett, e sono molto emozionata: sono abituata a collocare Virginia Woolf in un passato che non ha collegamenti con il presente, perciò incontrare qualcuno che l’abbia toccata e abbia comunicato con lei mi fa un po’ impressione.
Camelia, la protagonista del tuo romanzo, vive a Leeds come hai fatto tu per un anno, studia cinese come hai fatto tu all’università, insomma ci sono diverse somiglianze: come diceva Flaubert, “Camelia c’est toi”? Sei tu Camelia?
In realtà siamo molto diverse, non solo come esperienze ma anche come modo di fare. Qualcosa di me c’è di sicuro perchè l’ho creata io, e me ne assumo la responsabilità, come una creatura che ho partorito: poi però, come tutti i figli, è cresciuta e ha preso la sua strada. Ho cercato di proteggerla e di regalarle un lieto fine: purtroppo però non funzionava, soprattutto a seguito di quello che succede nel libro un finale felice non avrebbe avuto senso.
Nel prossimo libro ci sarà spazio per un po’ di ottimismo cosmico?
Purtroppo l’ottimismo cosmico non fa parte della mia filosofia, né del mio processo creativo… però sarà meno tragico, ci sarà uno spiraglio. Infatti i morti del mio prossimo libro non verranno seppelliti, ma cremati: questo da già un senso diverso alla storia.
Con “Settanta acrilico” hai ricevuto numerose recensioni entusiaste da parte della critica, che all’unanimità ha riconosciuto nella tua scrittura una ricchezza di suggestioni visive e sonore: c’è qualche titolo cinematografico e musicale che ti ha ispirato di più?
Per me la scrittura non è solo parole sulla carta, mentre scrivo un libro lo concepisco già anche nei suoi aspetti visivi e sonori, nella mia mente creo già il suo doppio musicale e cinematografico. Ci sono molti riferimenti al cinema, mentre scrivevo avevo in mente dei film che avessero simbolicamente un legame con “Settanta acrilico”: ad esempio c’è “Nói albinói”, un film islandese molto silenzioso che pensavo rispecchiasse bene lo stato d’animo di Camelia, che continua a noleggiarlo ma ogni volta nella custodia c’è il dvd sbagliato. Anche la musica ha un ruolo simbolico, soprattutto con Bjork: rappresenta in un certo senso ciò che Camelia ha perso, il suo passato.
Quindi praticamente “Settanta acrilico” è già pronto per diventare un film! Se dovesse succedere, avendolo già così bene in mente, vorresti scrivere tu la sceneggiatura o ti fideresti ad affidarlo a qualcun altro?
Potrei anche fidarmi, ma certamente vorrei avere voce in capitolo.
È da poco uscita la raccolta di racconti “Non è un paese per donne” che comprende anche un tuo contributo: di cosa parla? Hai avuto molte difficoltà a passare dal romanzo al racconto?
Tratta il tema dell’identità, è una sorta di incubo. In realtà ho scritto questo racconto molto prima di “Settanta acrilico”, ma in qualche modo lo presagisce, ha diverse cose in comune, a cominciare dagli ideogrammi. In passato ho scritto tanti racconti, quindi è una forma di scrittura a cui sono piuttosto abituata: però per forza di cose non permette un grande approfondimento, infatti preferisco scrivere romanzi.
A proposito del titolo della raccolta, tu sei una donna e soprattutto sei giovane ed esordiente: è vero che l’Italia non è un paese per donne?
Dipende un po’ dal termine di paragone: passi avanti ne sono stati fatti, ma sicuramente allo stesso tempo l’Italia è rimasta comunque indietro, basta accendere la televisione per averne conferma. Da esordiente la mia esperienza è stata molto positiva: non mi aspettavo un’accoglienza così, soprattutto perchè il mio non è un romanzo “di massa”, quindi direi che non mi posso affatto lamentare.