Rifiuto è una raccolta di racconti tra loro collegati che esplorano con puntiglio le viscere dell’internet odierno, tra maschi ultra-femministi, pornografia bizzarramente estrema e complottismi estremamente complessi. Ho approfittato della pubblicazione italiana di Rifiuto per intervistare Tony Tulathimutte (nato a Springfield, Massachusetts, nel 1983) via Zoom.
Rifiuto è pieno di riferimenti a culture online di nicchia, e in particolare a Reddit. Penso, tra i tanti, al «pollo bbq al piracetam» che credo possa essere capito solo da chi bazzica il subreddit/Nootropics e dintorni. Che reazioni ti aspetti dal pubblico italiano?
Non ne ho idea. Entro nel Paese alla cieca. Quando penso a come verranno recepiti i miei libri in altri paesi, di solito ribalto la questione. Io leggo molta letteratura straniera e spesso mi confronto con ambienti e riferimenti che non conosco. Il contesto mi aiuta a capire. Se non è abbastanza, cerco quello che non capisco su internet. Mi aspetto che le persone in altri Paesi facciano la stessa cosa.
Rifiuto sembra quasi una tassonomia del concetto di “rifiuto” esplorato da vari angoli. I rifiuti sono sempre esistiti ma sicuramente il numero di rifiuti con cui una persona ha a che fare nel corso della propria vita è mediamente cresciuto. Abbiamo lavori più flessibili, relazioni meno durature, eccetera. Viviamo nell’era del rifiuto?
David Foster Wallace racconta che probabilmente suo nonno aveva visto solo una dozzina di persone baciarsi nel corso della propria vita. Ma, grazie alla televisione, una persona media ha visto migliaia, se non decine di migliaia di persone baciarsi. Credo che per il concetto di rifiuto valga un’analogia simile. Prendi un’app di dating. Puoi rifiutare 40-50 persone alla volta. Finisce che i rifiuti possono sembrare meno pesanti (uno ci si abitua) ma anche più pervasivi. Diventa quasi una condizione metafisica. Penso che a livello individuale ci siano due modi per approcciare la cosa. Puoi reagire o puoi diventare zen al riguardo, capendo che un rifiuto non è un referendum sul tuo valore personale, che ci sono tantissime ragioni per cui una cosa può essere rifiutata. Quando stavo cercando di pubblicare Cittadini privati, un editore mi ha detto: “Amiamo il tuo libro. Lo ama anche il dipartimento di marketing. Il problema è che abbiamo già un altro libro in uscita in questo periodo con quattro protagonisti (come Cittadini privati, ndr) e quindi non possiamo pubblicare anche il tuo”. Ai miei studenti dico sempre che l’editoria non è una meritocrazia.
Rifiuto è molto aperto all’interpretazione. C’è molta ambiguità. In quest’epoca di pensiero polarizzato, è una qualità rinfrescante. Il libro è spesso in bilico tra serietà e ironia, horror e commedia, autenticità e performance. Come vivi questa apertura all’interpretazione, questa ambiguità?
Il primo racconto della raccolta, Il femminista, per esempio, è stato giudicato da alcuni una brillante satira femminista e da altri quasi un testo incel. Per quanto mi riguarda, una storia non è un pezzo di retorica. Non è un’argomentazione. Non cerco quasi mai di trasmettere una tesi specifica. La cosa migliore (e al contempo peggiore) della letteratura è che è aperta all’interpretazione. Le persone possono proiettare nei libri quello che vogliono. A volte il risultato è grandioso perché i lettori possono dissotterrare sfumature che non avresti mai considerato, anche se hai lavorato al testo per anni. Quando questo succede è molto gratificante.
D’altra parte, può anche capitare che le persone si inventino tesi molto stravaganti sulla tua storia. Tesi con cui sei completamente in disaccordo. In questi casi devi lasciare correre. I lettori possono avere le interpretazioni che vogliono, per quanto bislacche. Una volta pubblicata, la storia non è più tua. (...)