«Quando arrivai a Gaza e vidi il The Beach per la prima volta pensai che, se proprio doveva assomigliare a qualcosa, assomigliava a un tiramisù». La protagonista di Avvoltoi , il romanzo d'esordio della giornalista inglese Phoebe Greenwood, è Sara Byrne, giovane freelance che nel novembre del 2012 arriva al Beach Hotel, l'unico albergo ancora aperto nella Striscia di Gaza. E in quel primo pensiero fuori luogo che le attraversa la mente c'è già tutto lo scarto che Phoebe Greenwood racconta in questo romanzo limpido e feroce: lo spazio tra la catastrofe e chi la osserva, tra il dolore e la sua rappresentazione. Greenwood, che è stata corrispondente nel Medio Oriente, scrive di un mondo che conosce dall'interno, ma sceglie di non fare giornalismo. Avvoltoi è un romanzo che non vuole spiegare la guerra, né denunciarla, ma interrogarla: mostrare il modo in cui la guerra - e chi la racconta - si specchiano a vicenda. Sara non è un'eroina: è ambiziosa, spaventata, spesso superficiale, a tratti persino cinica. Eppure, proprio in questa ambiguità Avvoltoi trova la sua umanità. Perché non c'è nulla di più vero della fame di riconoscimento che convive con la vergogna, della curiosità che sfiora l'orrore e non sa più distinguere tra testimonianza e sfruttamento. Il Beach Hotel diventa un microcosmo: un luogo sospeso tra il fronte e la finzione, dove giornalisti, fotografi e fixer palestinesi convivono nell'attesa di un bombardamento "interessante". È una satira amara del giornalismo occidentale, ma anche un ritratto morale di chi scrive per non sentirsi inutile, per illudersi di dare un senso al caos. Greenwood non giudica. Osserva. Registra la stanchezza, la paura, il desiderio. La sua scrittura, tesa e controllata, evita la retorica della colpa quanto quella dell'innocenza. (...)