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Elena Ferrante

Autore: Francesca Magni
Testata: Donna Moderna
Data: 3 novembre 2011

Il fatto che il libro si apra con l’indice dei personaggi è una dichiarazione d’intenti: preparatevi a una saga, più che familiare la definirei “rionale”, nella Napoli degli anni Cinquanta. Al centro, il racconto (che ho trovato pieno di sensibilità) dell’amicizia fra Elena Greco, voce narrante, e Lila Cerullo, la quale – si scopre nel primo capitolo – è oggi una donna sopra i 60, sparita da casa senza lasciar tracce né vestiti nell’armadio. È suo figlio Rino a confidarlo per telefono a Elena, che ora vive a Torino. Dopo questo antefatto, il romanzo è un unico lineare flashback che ricostruisce il legame fra Elena e Lila da quando erano compagne di scuola e di aspirazioni. Figlia di un usciere la prima, l’altra di uno scarparo, entrambe vorrebbero seguire il consiglio della maestra e dare l’esame di ammissione alle medie, ma a Lila i genitori lo negano. Così l’amicizia prende una piega di discriminazione, fra chi può sognare il riscatto e chi, pur dotato, non può. Ma era così: erano tempi in cui c’era più violenza nei rapporti fra le persone, «un mondo in cui bambini e adulti si ferivano spesso» (il padre di Lila in un accesso d’ira la butta dalla finestra e lei per fortuna si rompe solo un braccio), in cui si moriva per cose banali o te lo facevano credere, «si poteva morire, per esempio, se sudavi e poi bevevi l’acqua fredda del rubinetto senza esserti prima bagnata i polsi». Tempi soprattutto in cui la vita era una lotta per non restare “plebe” come si era nati.
Viene tristezza, nell’ultimo capitolo, a vedere Lila sposarsi sedicenne, la festa di nozze con macchie di sugo e di vino sul pavimento, con le facce storte piene di uno «scontento rissoso», specie nelle donne che «s’erano svenate per il regalo, per la roba che portavano addosso, e ora venivano trattate da pezzenti, con vino cattivo». È lì che Elena capisce: «la plebe eravamo noi». Così si chiude  questa lunga pagina di “micro storia” d’Italia tanto simile ai racconti di mia madre, anche lei bambina in quegli anni, anche lei nella lotteria in cui si “vinceva” la possibilità di andare alle medie o all’avviamento professionale o a lavorare; anche lei cresciuta con l’insidia di pericoli fantasmatici, si muore se si ingoia una gomma da masticare o se ci si gratta un neo; anche lei allieva di maestre dure, di un mondo dalla competitività primordiale, dove la medicina, il benessere, la pace erano  troppo giovani per permettere di non essere “armati”, «la vita era così e basta, crescevamo con l’obbligo di renderla difficile agli altri prima che gli altri la rendessero difficile a noi».
Ho apprezzato molto le sfumature dell’amicizia fra Elena e Lila, in cui è Lila quella carismatica ed è proprio il suo carisma a innescare un legame particolarmente intenso, vivificante  e a tratti, per Elena, ipnotico. Qualcosa che solo nell’amicizia si prova, di certo in poche e rare amicizie speciali al femminile. Come continua, fra le due ragazze, come può evolvere in età adulta un legame di quel tipo? Elena Ferrante (misteriosa autrice che non si è mai svelata al pubblico) ha pronto il seguito. E dove sia finita Lila sessantenne, sparita in quel modo così originale e così “da lei”, adesso lo voglio sapere.