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Quei tiranni che divorano destini

Autore: Claudio Gorlier
Testata: La Stampa / TuttoLibri
Data: 7 gennaio 2012

«Postcolonialismo» è uno di quei termini multivalenti che finiscono per voler dire tutto e nulla, ma almeno uno dei suoi referenti mi sembra fuori discussione: la tragicità. Due scrittori africani ce ne offrono l'imperiosa conferma. Uno è di discendenze europee, Ian Holding, nato nel 1978 in Zimbabwe, nella cui capitale, Harare, vive e insegna. Discendente dei bianchi anglosassoni che ferocemente, come si soleva dire, colonizzarono appunto lo Zimbabwe, con il romanzo Uomini e Bestie, agilmente tradotto dall'inglese da Claudia Valeria Letizia, ci offre una storia di lucida e insieme implacabile intensità appunto di una tragedia postcoloniale. Maaza Mengiste, etiopica nata nella capitale, Addis Abeba (che, in lingua amharica, significa «nuovo fiore»), trasferitasi alla New York University, esordisce con Lo sguardo del leone, sottilmente tradotto dall'inglese da Massimo Ortello, un romanzo nel quale storia e insisto
- tragedia privata si intrecciano e si scambiano con imperiosa e al tempo stesso appassionata levitazione .. Il postcolonialismo è stato caratterizzato in Zimbabwe dalla resistenza dei vecchi padroni e dall'affermazione spesso crudele e soffocante della classe politica indigena. Ne è derivato un caos quotidiano, pervasivo. Qui alcuni miliziani sequestrano un uomo, lo consegnano ad un altro gruppo, lo costringono a trasportare su una carriola una donna incinta. In parallelo, appare un insegnate ormai deluso che vorrebbe emigrare, travolto dalle sue torturanti inquietudini e dalle sue frustrazioni. Parla in prima persona ed è lui che si impadronisce della doppia vicenda che ci racconta con lucida passione fino alla fine potenzialmente salvifica. In Lo sguardo del leone, romanzo dove la quotidianità si intreccia con la storia, quasi un'epica rovesciata, mortificata, siamo nel momento cruciale del postcolonialismo etiopico, nel197 4. L'imperatore Hailé Selassié, tornato da tempo dall'esilio cui lo aveva costrettoJ'Italia fascista, tenta invano di conservare il potere. L'anno successivo il Leone di Giuda, ultimo erede di Salomone, viene rovesciato e ucciso miserevolmente dal ribelle, il nuovo tiranno, Menghistu. Hailu, protagonista del romanzo, è un medico all'ospedale di Addis
che Menghistu fa ribattezzare come «Black Lion», leone nero, e si tiene lontano dalla politica, evita di ribellarsi a un regime che si distingue per la sua implacabile crudeltà. Ma eccolo scoprire che il figlio più giovane Dawit, milita in un circolo clandestino di ribelli alla dittatura. Peggio, un giorno viene trasportata all'ospedale una ragazza avvolta in un foglio di plastica trasparente, il corpo orrendamente insanguinato e ferito, vittima di una bieca tortura. Ecco una prova immediata di ciò che la dittatura sta ormai perseguendo, con la sua polizia armata di mitra sovietici, in quanto Menghistu ha compiuto la sua scelta populista anche a livello internazionale. Trionfa il Terrore Rosso, l'esercito spara su chiunque si ribelli, migliaia di prigionieri sfilano per le strade e lo stesso Hailu viene arrestato, minacciato di condanna a morte, e fortunosamente liberato . Il romanzo si popola di tutta una folla di persone di personaggi uomini e donne, e il loro quotidiano diventa uno sforzo di sopravvivenza, spesso frustrata: basta scoprire che anche un bambino innocente può restare vittima della repressione. Come ci informa nella nota al romanzo l'autrice, la feroce dittatura resisterà fino al 1991, ma la ribellione continuerà a ribollire, invadendo il privato di ciascuno, ed è questo che sostanzia tutta l'ultima parte del romanzo, fino alla sua conclusione, scopertamente simbolica. Hailu e Dawit si sono ritrovati dopo aver rischiato la morte: quasi un miracolo. Appare una visione «vivida e abbagliante»: un uccello selvatico sulla groppa di un leone. Il postcoloniale è divenuto un mito.