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La ballata di Mila

Autore: Mirco Zago
Testata: Padova e il suo territorio
Data: 12 gennaio 2012

   I precedenti libri del padovano Matteo Strukul, Il cavaliere elettrico (2008) su Massimo Bubola e Nessuna resa mai (2010) su Massimo Priviero (per Meridiano Zero), entrambi, come ben si intuisce, di critica musicale, avevano lasciato trasparire, al di là della loro appartenenza al genere saggistico, un forte interesse letterario e una propensione non superficiale al racconto. Il primo nasceva dalla materia stessa dei lavori, cioè  la dimensione poetica (vera o presunta non importa) dei testi delle canzoni prese in esame. La seconda ha trovato la sua piena espressione in questo romanzo d’esordio di Strukul, che è anche l’esito coerente dell’attività dello scrittore all’interno del gruppo artistico Supergulp, creato insieme con Matteo Righetto, che si prefigge di essere il punto di riferimento di un vero e proprio movimento culturale e letterario che sia l’espressione delle forme espressive più nuove, più antidogmatiche della società del Nordest italiano.
   La ballata di Mila è, per usare una denominazione ormai invalsa, un romanzo splatter, un noir costellato in modo ostentatamente esagerato di morti e grondante sangue senza freni inibitori. I personaggi sono volutamente portati all’estremo della loro caratterizzazione, a partire dall’eroina del romanzo, Mila per l’appunto, che, per il suo passato travagliato, per la sua indipendenza, che finisce per essere una volontaria solitudine, e per un aspetto ambiguo dato dalla sua irresistibile bellezza e dalla sua non meno stupefacente abilità in ogni tipo di combattimento, rinvia in modo piuttosto esplicito alle atmosfere filmiche di Sergio Leone e di Quentin Tarantino (Pulp fiction, certo, ma ancor di più Kill Bill) o, forse, alla protagonista della saga di Stieg Larsson. Non si tratta di richiami estemporanei né del frutto di un immaginario che ormai è divenuto moneta corrente. Strukul percorre la strada dell’utilizzo cosciente di tutte le forme della cultura popolare moderna e postmoderna, anche i fumetti. Certi dialoghi e certe situazioni, infatti, ricordano le prime storie del Tex Willer di Gainluigi Bonelli e Aurelio Galeppini, un personaggio peraltro citato nel romanzo: buoni e cattivi si scontrano senza quartiere, il buono usa gli stessi metodi del malvagio per sconfiggerlo, anzi si infiltra tra le sue linee, mimetizzandosi da cattivo, l’eroe, anche all’apice dello scontro, rispetta il proprio codice d’onore, la vittoria del bene sul male non permette il reintegro dell’eroe nella società. Ma se questo intreccio era preso in modo serissimo nei fumetti di Tex Willer di ormai cinquant’anni fa, ora Strukul lo propone con una certa ironica distanza, che si manifesta già nella scelta di una protagonista temibile come il ranger bonelliano, ma sensuale e affascinante come una attrice hollywoodiana. Certe scene, poi, sono raccontate, per così dire, di sguincio così che la situazione sembra spezzarsi in tanti fotogrammi separati, proprio come le immagini di un fumetto: anche in questo modo si determina una presa di distanza dalla materia narrata.
   Ma La ballata di Mila non è soltanto un sapiente gioco di richiami e di rinvii pop: il romanzo di Strukul ha ambizioni più grandi.
   La vicenda, infatti, si svolge a Padova e nel territorio circostante, per il controllo del quale si scontrano due bande malavitose, una di veneti guidata da Rossano Pagnan e un’altra di cinesi che obbedisce a Guo Xiaoping. I cinesi si sono insinuati nei gangli produttivi dell’economia veneta, mettendo in pericolo gli interessi di Pagnan: Guo “un po’ alla volta, aveva spogliato il Veneto non solo delle sue aziende, che chiudevano una dopo l’altra al ritmo di duecento all’anno, ma anche della sua cultura artigianale: le scuole venete di taglio, cucito e modellistica stavano cominciando a scomparire, comprese quelle che rappresentavano un vero e proprio patrimonio di sapere. Eccola, la globalizzazione in salsa cinese. E quegli idioti di italiani non se n’erano manco accorti”. Pagnan, dal canto suo, grazie al malaffare guadagna somme enormi di denaro che la moglie e i figli sperperano per un lusso fine a se stesso. La tradizionale famiglia veneta di Pagnan è esplosa e ne rimane solo una rispettabilità di facciata, falsa e marcia, ma che viene addirittura ben accettata dalla politica locale. Tra le due bande si intromette come un ciclone Mila (veneta anche lei, come dimostra il suo cognome, che per un caso fortuito coincide con quello del recensore), una ragazza che ha una vendetta da compiere a tutti i costi. Mila vuole fare giustizia, ma la sua tragica esperienza la porta a convincersi che l’unico modo per realizzarla sia l’eliminazione fisica del colpevole. E si dà inizio così a una vera e propria ecatombe purificatrice che, per le proporzioni che assume, sembra una raffigurazione iperrealistica: “Dove diavolo era finita la pistola? Nooo! Dove diavolo erano finite le mani? Katana! La spada giapponese ricurva lampeggiò nelle mani della ragazza dai dreadlock rossi. […] Zhang non riusciva ancora a crederci! Le sue mani erano per terra assieme alla pistola”.
   I fiotti di sangue, le sparatorie, i combattimenti di kung fu, gli inseguimenti (Strukul da questo punto di vista non si fa mancare nulla), però, diventano un modo per raccontare la realtà presente: la trasformazione della società veneta in questi ultimi decenni, il disgregarsi delle forme tradizionali di aggregazione, l’imbarbarimento dei costumi e della mentalità, il permanere di forme arcaiche di relazioni personali in un contesto modernissimo, la nuova economia, l’immigrazione, l’infiltrazione mafiosa, il riciclaggio di denaro. Padova diventa il teatro di una violenza impensabile nella normalità (ma assolutamente plausibile nella narrazione del romanzo): efficace, da questo punto di vista, è il racconto della strage all’Ospedale Civile. Solo l’altopiano di Asiago, dove Mila ha il suo rifugio, sembra concedere un po’ di tregua allo scatenarsi della brutalità. Insomma, la normalità della nostra società è una maschera della violenza. 
   Ma nel libro di Strukul non si fa sociologia né si cercano risposte: tutto diventa puro racconto, condotto a un ritmo rapidissimo. E’ questa la lezione di un altro scrittore padovano, Massimo Carlotto, che di Strukul è un po’ il mentore. Il genere noir diventa un modo per raccontare la nostra società: portando all’eccesso la violenza, la si riconosce e, forse, la si esorcizza. C’è da chiedersi se ci è rimasta questa sola modalità di rappresentarla.