"Mi chiamo Renée. Ho cinquantaquattro anni. Da ventisette sono la portinaia al numero 7 di rue de Grenelle, un bel palazzo privato con cortile e giardino interni, suddiviso in otto appartamenti di lusso, tutti abitati, tutti enormi. Sono vedova, bassa, brutta, grassottella, ho i calli ai piedi e, se penso a certe mattine autolesionistiche, l'alito di un mammut. Non ho studiato, sono sempre stata povera, discreta e insignificante."
Eccoci ancora una volta di fronte a un "caso" editoriale particolare. Perché i lettori italiani hanno subito scoperto e comprato questo romanzo? Eppure dell'autrice in Italia è stato pubblicato un solo titolo nel 2001 Una golosità, gran bel libro in effetti, ma notato da pochi.
Dunque qual è l'arcano? La copertina (graziosa ma non eccezionale), il titolo (divertente ma neppure questo straordinario) o la fascetta che avvolge il volume dove si legge che si tratta di un best seller francese? Sì, forse è questo che fa prendere in mano il libro, invoglia a sfogliarlo e poi a comprarlo. Sì, deve essere questo che ha convinto i primi lettori italiani a portarsi a casa il romanzo (qualcuno forse già sapeva che in Francia ha venduto più di 600.000 copie occupando la prima posizione in classifica per molte settimane di fila, spodestata solo da Amélie Nothomb...).
Anch'io sono curiosa e inizio la lettura. E capisco. Certo, ecco perché. Perché l'autrice ci fa entrare in un palazzo parigino e ci fa conoscere i suoi abitanti, come Remi Waterhouse ha fatto nel 2002 con il suo bel film Riunione di condominio o in precedenza aveva fatto Cédric Klapish raccontandoci le case del quartiere parigino della Bastiglia e i suoi abitanti in Ognuno cerca il suo gatto.
È una narrazione molto filmica, molto visiva, con una pulizia quasi fotografica, se escludiamo le eccessive dissertazioni filosofiche non sempre brillanti.
Le voci narranti sono due: la portinaia che racconta la quotidianità della sua esistenza e del palazzo e la piccola Paloma, che conosciamo attraverso le pagine del suo diario. È già un film, con le giuste inquadrature, gli stacchi, i primi piani e le carrellate. Ritmicamente l'autrice entra nell'animo di un personaggio, poi ne riesce per guardare la scena da lontano: osserva, racconta, torna dentro un appartamento e ne riesce portandosi dietro la vita di qualcuno che sentiamo come reale, vivo davvero.
La portinaia è un piccolo capolavoro alla Simenon, rintanata nella sua guardiola con l'immancabile gatto e con una "facciata" tradizionale ma un "retro" sorprendente. Altrettanto divertente la ragazzina, figlia di un ricco deputato (del resto si tratta di un condominio di ricchi) e di una laureata in lettere un po' svampita, che paragona la concierge a un hérisson, a un riccio, senza sapere di esserlo anche lei. Una ragazzina che ha capito troppo presto il senso dell'esistenza - "la gente crede di inseguire le stelle e finisce come un pesce rosso in una boccia" - che giudica il mondo e crede di essere migliore della maggioranza dei suoi abitanti. Tanto da volere farla finita il giorno del suo tredicesimo compleanno.
C'è poi la domestica portoghese di casa de Broglie che invece di rientrare nello stereotipo della gretta donna delle pulizie è una vera ristocratica che "sebbene circondata dalla volgarità, non ne viene sfiorata". Non può che essere la migliore amica di quella portinaia che fa finta di guardare programmi trash in tv e invece ascolta Mahler.
Accanto a queste donne (soprattutto alla portinaia Renée e alla giovane Paloma) ruota il mondo aristocratico, snob, irritante del palazzo: i Pallières al sesto piano, i Josse al quinto (la famiglia di Paloma), gli Arthens al quarto, i Siant-Nice e i Badoise al terzo, i Meurisse e i Rosen al secondo e i de Broglie al primo.
Poi a rimescolare le carte del condominio arriva un giapponese, monsieur Kakuro Ozu, ricco, certo, ma attento alle persone che gli stanno accanto, l'unico a comprendere l'eleganza del riccio. E così, grazie a lui, le due narrazioni si avvicinano e diventano parallele e le due donne scoprono le loro affinità elettive.
Forse l'autrice eccede in dissertazioni e citazioni che in questo genere di romanzo bloccano la storia, la irrigidiscono. È l'unico neo (autoreferenziale?) di una storia originale e un po' amara, che cattura il lettore.
Probabilmente per questo motivo Mona Achache, la sceneggiatrice che ha il compito di adattarla per un film prodotto da Anne-Dominique Toussaint ha dichiarato che, malgrado l'apparenza, "non si tratta di un testo facile, lineare. C'è un grosso lavoro da svolgere", un lavoro che sta portando avanti dal gennaio 2007. A chi domanda quando inizieranno le riprese rispondono di attendere: non c'è ancora un cast e le difficoltà sono molte. Una di queste è, come ha scritto una lettrice sul blog di Muriel Barbery, che la sola Renée immaginabile purtroppo non c'è più: era Simone Signoret.
Le prime pagine
Marx (Preambolo)
Capitolo primo
Chi semina desiderio
«Marx cambia completamente la mia visione del mondo» mi ha dichiarato questa mattina il giovane Pallières che di solito non mi rivolge nemmeno la parola.
Antoine Pallières, prospero erede di un'antica dinastia industriale, è il figlio di uno dei miei otto datori di lavoro. Ultimo ruttino dell'alta borghesia degli affari - la quale si riproduce unicamente per singulti decorosi e senza vizi -, era tuttavia raggiante per la sua scoperta e me la narrava di riflesso, senza sognarsi neppure che io potessi capirci qualcosa. Che cosa possono mai comprendere le masse lavora-trici dell'opera di Marx? La lettura è ardua, la lingua forbita, la prosa raffinata, la tesi complessa.
A questo punto, per poco non mi tradisco stupidamente.
«Dovrebbe leggere L'ideologia tedesca» gli dico a quel cretino in montgomery verde bottiglia.
Per capire Marx, e per capire perché ha torto, bisogna leggere L'ideologia tedesca. È lo zoccolo antropologico sul quale si erigeranno tutte le esortazioni per un mondo migliore e sul quale è imperniata una certezza capitale: gli uomini, che si dannano dietro ai desideri, dovrebbero attenersi invece ai propri bisogni. In un mondo in cui la hybris del desiderio verrà imbavagliata potrà nascere un'organizzazione sociale nuova, purificata dalle lotte, dalle oppressioni e dalle gerar-chie deleterie.
"Chi semina desiderio raccoglie oppressione" sono sul punto di mormorare, come se mi ascoltasse solo il mio gatto.
Ma Antoine Pallières, a cui un ripugnante aborto di baffi non conferisce invece niente di ferino, mi guarda, confuso dalle mie strane parole. Come sempre, mi salva l'incapacità del genere umano di credere a ciò che manda in frantumi gli schemi di abitudini mentali meschine. Una portinaia non legge L'ideologia tedesca e di conseguenza non sarebbe affatto in grado di citare l'undicesima tesi su Feuerbach. Per giunta, una portinaia che legge Marx ha necessariamente mire sovversive ed è venduta a un diavolo chiamato sindacato. Che possa leggerlo per elevare il proprio spirito, poi, è un'assurdità che nessun borghese può concepire.
«Mi saluti tanto la sua mamma» borbotto chiudendogli la porta in faccia e sperando che la disfonia delle due frasi venga coperta dalla forza di pregiudizi millenari.
© 2007, Edizioni e/o