Il caso letterario più
clamoroso del 2007, in Francia,
s'intitola L'eleganza del riccio.
L'ha scritto Muriel Barbery,
trentanovenne docente di filosofia.
In poche settimane il romanzo
ha scalato le classifiche
e si è posizionato al primo posto
dove è rimasto per lunghi mesi
vendendo centinaia di migliaia
di copie.
È un libro «gradevole» in
cui, almeno fino a un certo punto,
non conta tanto quello che
succede, quanto piuttosto ilmodo
della narrazione. Quest'ultima
è affidata a due voci che si
alternano irregolarmente, due
voci femminili che si esprimono
in prima persona e si rapportano
entrambe al lettore creando due
personaggi tanto apparentemente
diversi quanto intimamente
uguali.
La prima voce è quella di
Renée, portinaia cinquantaquattrenne
di un immobile che si trova
al numero 7 della rue de Grenelle,
via situata nel settimo arrondissement
di Parigi, quartiere
alto borghese, abitato per lo
più da intellettuali tendenzialmente
di sinistra. La seconda voce
è quella di Paloma, ragazzina
dodicenne che abita nel palazzo,
al quinto piano, figlia di un papà
deputato (con un passato da ministro)
e di unamammache sfoggia
un dottorato in lettere. La ragazzina
ha anche una sorella, Colombe,
più grande di lei, studentessa
di filosofia. Nella versione
italiana, che esce ora per le Edizioni
e/o, le pagine di Renée sono
state tradotte da Cinzia Poli,
quelle di Paloma da Emanuelle
Caillat.
Il personaggio della portinaia
è giocato sull'opposizione della
stessa al cliché che normalmente
la identifica ma, insieme, su una
strenua volontà a mantenere segreto
il suo essere diversa. In altre
parole, Renée legge Marx e
Husserl, vede i film di Ozu e si cucina
filetti di triglia al coriandolo,
ma fa di tutto - maniacalmente -
per evitare che i condomini lo
sappiano. Costruisce quindi intorno
a sé una messa in scena che
riproduca nei minimi dettagli il
cliché cui, per niente al mondo, si
adeguerebbe. Veste sciattamente,
fa continue spese ostentando
sporte da cui emergono ciuffi di
verdura, grosse fette di carne o
prosciutto, pasta e passata di pomodoro,
tiene perennemente accesa
una televisione sintonizzata
al alto volume su programmi di
basso intrattenimento, e via dicendo.
Salvo poi svelare, ma solo
a noi lettori, che quelle derrate
portinaiesche sono riservate al
gatto Lev, che la televisione è accesa
ma non guardata, e che tutta
questa apparenza serve a preservare
intatto il suo rifugio, una
stanzetta sul retro nella quale, indisturbata,
lei può coltivare i suoi
gusti raffinati e la sua mente.
Anche Paloma, la ragazzina
dodicenne, nasconde sotto mentite
spoglie un suo segreto progetto
esistenziale. Finge cioè di essere
una ragazzina dodicenne come
le altre, si veste come loro, a
scuola segue bene ma senza
emergere, mentre a noi, lettori
del suo pseudo diario, si rivela come
straordinariamente in anticipo
rispetto alle coetanee, a tal
punto lucida e consapevole della
vanità del tutto (in particolare
della rinuncia agli ideali di cui
l'età adulta è ai suoi occhi irrimediabilmente
schiava) da aver deciso
di uccidersi, il giorno del tredicesimo
compleanno: per non
dover passare anche lei dalla parte
della rinuncia. Una rinuncia a
priori insomma, scelta invece
che subita.
A scompaginare i giochi, le finzioni
delle due narratrici, entra in
scena a un certo punto un personaggio
che le svela entrambe. È
un ricco giapponese, nuovo inquilino
che Muriel Barbery fa entrare
nel romanzo e nel palazzo uccidendo
un fastidioso critico gastronomico
e attribuendogli il
suo appartamento. Ozu (proprio
così si chiama il ricco giapponese)
coglie magicamente le verità
di Renée e di Paloma e le fa entrare
in risonanza. Con una ulteriore
capriola, la vicenda sfocia allora
in fiaba: e la Bellezza trionferà,
sia pure a costo di un passaggio
iniziatico per la porta stretta della
Morte (non, ovviamente, di
quella programmata da Paloma).
Il grande successo del libro dimostra
quanta voglia ci sia in giro
di messaggi rassicuranti e di "leggibilità"