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L’eleganza di Muriel Barbery e della sua portinaia parigina

Autore: Erminio Fischetti
Testata: Fuorilemura.it
Data: 22 febbraio 2010

Una portinaia parigina di mezz’età che nasconde la sua incredibile cultura- discerne l’ideologia tedesca, legge Marx, Tolstoy, Kant e ama il cinema di Ozu- dietro il cliché del suo ruolo sociale, una dodicenne di estrazione alto-borghese che ha deciso di suicidarsi il giorno del suo tredicesimo compleanno per dimostrare qualcosa. Entrambe vivono al numero 7 di Rue de Grenelle, palazzo signorile della capitale francese dislocato su sei piani. Muriel Barbery (di cui le edizioni e/o in Italia hanno pubblicato anche Estasi culinarie) ne L’eleganza del riccio racconta in prima persona le vite di queste due femminilità “clandestine” con uno stile personale per entrambe. Infatti, a seconda del carattere interiore e della visione del mondo delle due, la scrittura dell’autrice si sviluppa con differenti stilemi.

Madame Renée Michel e Paloma Josse sono chiuse negli aculei del proprio “riccio” interiore, che solamente la reciproca scoperta e la saggezza di un nuovo inquilino del palazzo, l’affascinate monsieur Ozu, un signore giapponese che ha fatto suo il vero significato della vita e del suo approccio, riuscirà a ledere e ad unire in un nuovo percorso umano. Straordinariamente lucida e cinica, la visione della vita di queste due donne di differenti età saprà penetrare nel cuore del lettore e riuscire a instillare in lui una feroce analisi del mondo contemporaneo attraverso una divertente e sagace ironia; in particolare, l’autrice, attraverso la voce della sua protagonista Renée, smaschera la totale inconsistenza di una classe borghese divenuta fardello e fantasma dei propri “ismi” e delle proprie costrizioni sociali, spenta, inoltre, all’interno di un tessuto umano privo di ingegno e arroccato negli egoismi e nell’arroganza della propria ignoranza inconsapevole e masturbatoria.

Barbery sembra descrivere una classe borghese che nel nuovo millennio è perfetto accostamento al decadentismo di quella nobiltà che più di un secolo fa moriva della stessa “malattia”, e narra di una Renée  che si è resa volontariamente testimone invisibile agli occhi di tutti loro, cosicché da potersi prendere gioco di tutte quelle regole non scritte e marcate in spazi ambigui, attraverso la discrezione di un’intelligenza nutrita in maniera autodidatta. La raffinata signora guarda, osserva, coglie per poi tornare dietro la sua guardiola non facendo mai trapelare di aver “capito” e terrorizzata che altri possano “smascherare” il suo vero io, nascondendosi così dietro una semantica volutamente abbrutita, una neutralità facciale che poco lascia all’interpretazione, un grosso televisore che sempre acceso non guarda, un gatto simbolo di una solitudine causata da una vedovanza precoce. Ma sul retro, nell’intimo di sé c’è l’amore per la letteratura russa, per la cultura giapponese, per la filosofia tedesca, per le raffinatezze del palato, per la musica, per la pittura di Vermeer.

Poi c’è Paloma, la ragazzina di dodici anni, che la maturità sembra aver investita molto tempo prima di qualsiasi ottuagenario di saggia e brillante intelligenza, figlia di un ex-ministro socialista ottuso e di una vanesia intellettuale di sinistra imbottita di antidepressivi e con una sorella di nome Colombe che risulta essere il perfetto risultato dell’accoppiamento dei suoi genitori, ovvero una ventenne vestita di stracci (ma pur sempre costosi) e dal linguaggio forbito, che si crede progressista, ma dietro la quale si cela una reazionaria e bigotta classista, saccente e viziata, nonché prova di virtù morali ed etiche. Il personaggio di Paloma, sebbene il meno riuscito fra i due perché in alcuni momenti questo fantomatico desiderio di suicidio non proprio appare coerente con sua la visione della vita e il suo carattere, possiede comunque la forza interiore di cui necessita.  Caso letterario in patria e in gran parte del resto del mondo, nonché sommerso di premi letterari, questo romanzo possiede una consistenza impalpabile che tesse la verità di un ossimoro frastornante e fondamentale: la vacuità e la forza della cultura, che si contrappone fra una sua essenza sincera quando viene colta nella sua semplicità e un suo inutile modo di essere rimasticata quando viene sputata senza troppa riflessione. Una storia godibile, visivamente semplice e impeccabilmente scritta.