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Amore e onore al tempo del contrabbando

Autore: Diego Zandel
Testata: La Gazzetta del Mezzogiorno
Data: 3 ottobre 2006

Beniamino Rossini, protagonista con Max la Memoria di tante avventure dell'Alligatore (il personaggio creato dalla penna di Massimo Carlotto) esiste. Anzi, è esistito. È morto, dopo una lunga malattia, lo scorso 7 maggio 2006. La sua vita, avventurosissima, è stata raccontata da Carlotto nel suo ultimo libro La terra della mia anima, pubblicato, come tutti i libri dello scrittore padovano - sardo di adozione - dalla editrice E/O. Anzi, Carlotto le ha dato la forma di romanzo, raccogliendo la testimonianza diretta, al registratore, di Rossini.

Sessantacinque anni vissuti intensamente, ricchi di un'esperienza maturata fuori dalla legge, essenzialmente come contrabbandiere, prima di sigarette, al confine con la Svizzera e, successivamente, per mare, nel Mediterraneo, poi di altro (materiale pornografico per il Marocco, armi dalla Croazia nel corso della guerra nella ex Jugoslavia), ma anche, per un certo tempo, come rapinatore. Solo un breve interludio normale: quattro anni quale venditore ambulante di pellame, per le fiere di paese, accanto alla moglie Sonia, conosciuta in gioventù sulla costa romagnola e che per lui ha abbandonato una carriera promettente di cantante, per poi, dopo diversi anni, separarsene.

Contrabbandiere, fuorilegge, rapinatore, ma sempre con un codice comportamentale che rispettava alcune regole d'onore non scritte nell'ambiente della malavita, regole che oggi, per lo più, a detta di Rossini, sono saltate. Certo, egli è stato esponente di spicco di un'epoca in cui non si girava armati, non si tradivano i compagni, ed anche la competizione, spesso aspra, con le forze dell'ordine era subordinata a una distinzione che esigeva il rispetto dei ruoli.

Questo, anche perché la «carriera» di Rossini è maturata in un ambiente, quello della frontiera dove Rossini era nato e cresciuto, in cui quello del contrabbandiere di sigarette era, al di là delle apparenze, un lavoro come un altro. Tant'è che i contrabbandieri non solo vivevano tra la gente comune, che non vedeva in essi dei «banditi», ma semplici lavoratori, anche se un po' speciali, dotati, tra l'altro, di una coscienza politica in grado di interpretare il contesto sociale e di impegnarsi per migliorarlo.

A Rossini, così come ad altri suoi colleghi, questo poi non è bastato. Certo, l'adrenalina, il bisogno vitale di vivere a mille, con intensità, ha avuto la sua influenza. Ma è un dato di fatto che pure la facilità del guadagno portava i protagonisti come lui a non tenere tanto conto del denaro che, con la stessa facilità, veniva avventatamente speso fino all'osso, così da richiedere nuove imprese, via via sempre più importanti e pericolose.

L'incontro con il mare, in questo senso, è stato determinante, perché il trasporto di carichi dalla Grecia e dalla ex Jugoslavia con le barche consentiva guadagni che non avevano paragone con quanto si poteva rimediare facendo gli spalloni sulle montagne a confine con la Svizzera.

Però, le nuove scelte hanno portato Rossini anche a confrontarsi con una realtà più dura e spietata che l'ha costretto, per poter sopravvivere, a cambiare registro. E bastato il tradimento di un contrabbandiere greco, fuggito con la barca e l'intero carico dopo aver lasciato Rossini in balia delle onde, perché egli si adoperasse per rendergli pan per focaccia. Arruolati quattro criminali turchi cominciò a dar la caccia al greco fino a riprendersi il maltolto con gli interessi.

Altri episodi analoghi si sarebbero succeduti negli anni, fino a cadere in un giro che lo avrebbero portato in carcere e, poi, da qui alle rapine nel nord d'Italia con la sua nuova compagna, un transessuale del quale si era perdutamente innamorato, al punto da lasciare, questa volta definitivamente, la moglie.

Rapine ad armi in pugno, ma sempre scariche, perché Rossini rifuggiva sempre e comunque dagli omicidi.

Di nuovo arrestato, trascorrerà altri dodici anni in carcere, testimone di violenze e di orribili regolamenti di conti, che più di altri lo avrebbero condizionato, fino alla salvezza, nel carcere di Padova, seguita alla conoscenza dello stesso Massimo Carlotto, rinchiuso a sua volta per un delitto del quale era stato sospettato, e che gli avrebbe restituito la coscienza politica smarrita nel corso degli anni. Una storia che si fa sempre più recente, ma alla quale, nonostante lo sconto della pena, seguiranno altri anni di dolore, inquietudine e, infine, malattia.

Carlotto ha raccontato tutto ciò con un ritmo che dà grande forza alla pagina, che si legge così, come è stata scritta, d'un fiato, episodi dietro episodi, solo riservando brevi pause a considerazioni, sulla vita, sul carcere, sull'amore, che valgono momenti di riflessione profonda per tutti. Per il lettore, per il legislatore, per la malavita stessa, se ha quest'ultima la capacità, l'umiltà, che Beniamino ha dimostrato di possedere, di confrontarsi con se stessa prima ancora che con gli altri.