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La cura alla solitudine dei quarantenni è nel miracolo di un’auto d’epoca

Autore: Stefano Cangiano
Testata: PUB
Data: 15 aprile 2011

Negli ultimi anni siamo stati abituati a considerare l’evoluzione dei rapporti sociali, delle relazioni umane e della stessa vita quotidiana in termini di normalità, giustificando, di volta in volta, l’isolamento, una certa chiusura o il ricorso a espedienti poco virtuosi per “socializzare” e rinunciando a un pensiero più profondo che spiegasse le cause reali di tanta solitudine.
Sergio Bartolomei però affronta il problema con coraggio e col disincanto necessario per tenersi al riparo da facili sentimentalismi o da una visione ingessata e un punto di vista troppo parziale. La storia che racconta è quella di un gruppo di quarantenni in fuga dalla quotidianità, ognuno portatore di uno stile di vita e di un temperamento che sintetizza tutti i limiti e le caratteristiche di quelli che in Italia abbiamo imparato a considerare “giovani”. La voce narrante è quella di Diego, un affermato venditore di suv, tanto solo quanto cinico ma mai compiaciuto di questa condizione di lontananza dagli affetti e incapacità di costruire legami duraturi, soprattutto con le donne, vittime sacrificali del “vuoto affettivo”. Altri due prototipi dell’adulto medio si ritrovano, come lui, a fuggire dalla capitale, uno è Claudio, insicuro per antonomasia, con crisi di panico, incapace di gestire il rapporto con la sua ex moglie che ha preferito a lui, pessimo gestore del supermercato di famiglia, un affermato professionista, e Fausto, personaggio del sottobosco televisivo, affermato venditore di orologi rigorosamente taroccati, per il quale l’apparenza è diventata concretamente la vita stessa e non più uno stile. I tre si ritrovano per caso in quella che intuiamo essere la campagna casertana, calamitati da un’offerta immobiliare allettante, un casale parzialmente ristrutturato dove pensano di trasferirsi, salvo poi accorgersi di un errore nel prezzo di vendita, in realtà molto più alto. Da quest’equivoco nascerà la decisione da cui si svilupperà tutta l’azione del romanzo.
I tre decidono di comprare in società il casale per aprire un agriturismo dove offrire trattamenti di benessere e relax. Diego, sulla scia della sofferenza per la morte recente del padre malato di tumore con il quale non aveva alcun rapporto ma che si è trovato ad accudire negli ultimi giorni di vita, agisce quasi senza controllo e capisce da sé che si è messo “in società con un cafone e uno sfigato”. Una distanza apparentemente incolmabile unisce quindi queste tre icone del nostro tempo, che, senza alcuna competenza né esperienza, si ritrovano a dover fronteggiare la ristrutturazione di un intero casale, con risorse economiche esigue e senza un progetto definito.
Risolutivo sarà l’intervento di diverse figure, a partire da Sergio, altro campione esemplare del composito tessuto sociale italiano, spiantato veterocomunista dall’imponente stazza fisica e con uno spiccato autoritarismo, a cui però fa da contrappeso l’esperienza pratica maturata negli anni trascorsi tra cortei e centri sociali. Sarà lui il factotum che dirigerà i lavori e coordinerà tutta la manovalanza. Anche alcuni immigrati ghanesi arriveranno a dare un aiuto ai quattro protagonisti di questa rocambolesca avventura tra le pareti domestiche e si riveleranno fedeli compagni di lavoro fino al punto di diventare amici a tutti gli effetti. E infine Eleonora, cuoca provetta e massaggiatrice, che consentirà agli uomini di guadagnare clienti e migliorare lo stile dell’agriturismo, offrendo un necessario e vitale tocco femminile.
Questa la brigata di personaggi che confluisce verso il casale lontano da tutto e da tutti e che darà vita a una vera rivoluzione; una rivoluzione che partirà da un gesto tanto impulsivo quanto insensato, il sequestro di un anziano emissario della camorra che si presenta dai quattro uomini per chiedere il pizzo. Vito, il camorrista appunto, viene rinchiuso in una stanza della taverna e la sua macchina, un’Alfa Giulia 1300, sepolta sotto il giardino dell’agriturismo. A quello di Vito seguiranno altri sequestri, ma nonostante questo i soci riusciranno sempre a mantenere il controllo di una situazione che, proprio perché paradossale, li unirà e cementerà i legami tra di loro, annullando le differenze, pur sensibili, che li dividevano. E così Fausto, il finto ricco con tendenze xenofobe, accetterà l’idea degli immigrati africani come compagni di lavoro e si occuperà di una terapia d’urto per Claudio, ossessionato dal “morbo di Cronach”, che lo costringe a doversi informare costantemente su tutti gli episodi di cronaca nera una cura intensiva a base di film porno, poi, con l’arrivo di Eleonora, di partite di calcio. Questo però farà guadagnare sicurezza a Claudio, che addirittura vedrà rientrare la sua alopecia, mentre Diego si accorgerà di essere in grado di costruire legami di amicizia e di innamorarsi.
Il miracolo della Giulia, che farà anche la fortuna di “Casal de’ pazzi” (questo il nome dell’agriturismo) è quello di un guasto allo stereo per effetto del quale, nei momenti più disparati, proverranno dalla macchina brani di musica classica, prediletta dal camorrista Vito grazie all’amore per la musica ereditato dal padre. Una miracolo che sa di magia e che verrà condito con una sapiente dose di menzogna ma che diventerà il tratto unico di quel casale sorto nella piattezza della campagna post industriale. Un miracolo da cui ne scaturiranno altri, a partire dal cammino di avanzamento personale, quello più significativo, ma anche il miracolo della fraternizzazione con il vecchio Vito, che diventerà a tutti gli effetti un collaboratore dell’agriturismo mutando egli stesso atteggiamento e carattere, il miracolo della serenità degli altri due giovani camorristi, che vivranno la loro prigionia come un soggiorno relax, coinvolti in un’atmosfera da reality show sapientemente architettata dai soci del casale; infine, il miracolo del successo dell’agriturismo, che richiamerà gente da tutta Italia e di tutte le età, rendendo Diego, Fausto, Claudio e Sergio sempre più indispensabili l’uno all’altro e sempre più convinti e felici di ritrovarsi a fare quel che non avrebbero mai pensato ma che si rivela a tutti gli effetti una cura e una guarigione. Purtroppo, però, anche l’idillio faticosamente costruito conoscerà una dolorosa battuta d’arresto: questo sta al lettore scoprirlo.
Bartolomei riesce in un’operazione complessa, quella di costruire su un nucleo così complesso di solitudini diverse tra loro, una storia in cui confluiscono elementi di ironia, a volta comicità sapiente e ben realizzata (si veda il siparietto tra Vito e i tre al loro primo incontro), azione (i sequestri, l’episodio della scoperta della discarica abusiva) e dove uno spazio è riservato anche all’interiorità, ai sentimenti e al loro mutare. Attraverso le riflessioni di Diego ci accorgiamo infatti di come la soluzione, il miracolo massimo per sfuggire alla condanna di una routine alienante e indefinibile, sia quello di scoprire quello che davvero si vuol fare della e nella propria vita. Il segreto di Pulcinella si direbbe, ma con un evidente e grossolano errore che verrebbe smentito dalla lettura di queste pagine ben scritte, con uno stile dinamico e sorvegliato che si concede anche ironiche e disilluse riflessioni sull’esistenza e un lirismo con accenti intimi non trascurabili, indispensabili alla particolarità di un romanzo che richiama l’attenzione sulla necessità di relazioni umani. Quelle relazioni che diventano il correttivo per una vita su cui non si esercita più un controllo e uno strumento efficace, per ripartire da zero, anche a quarant’anni. Allora, in definitiva, il miracolo appare davanti agli occhi del lettore che comprende come non ci sia mai un punto per sentirsi arrivati o dirsi sconfitti ma anzi, come in ogni momento reinventarsi e scoprirsi tra gli altri sia a tutti gli effetti una salvezza.