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Ecco il mio ultimo eroe contrabbandiere di Ponte Tresa

Autore: Roberto Rotondo
Testata: Varesenews.it
Data: 26 ottobre 2006

È un contrabbandiere varesino l'ultimo eroe di Massimo Carlotto, uno dei maestri del noir italiano. Il libro, "La terra della mia anima", è un best seller. Il protagonista è Beniamino Rossini, detto il milanese, già spalla dell'Alligatore, l'investigatore che ha reso famoso il romanziere padovano.
Di Rossini sapevamo che era un esponente della vecchia mala milanese. Pochi, invece, sapevano che è esistito davvero, aveva la tessera del Pci, ed era un contrabbandiere sognatore e guascone che a Ponte Tresa ha imparato come il confine sia un luogo dell'anima. Rossini rappresenta una civiltà, quella del contrabbando varesino e comasco, che non esiste più.

Carlotto, lei ha visto di persona i luoghi dell'anima di Rossini, i nostri laghi?
«Sì, ho fatto un giro dalle vostre parti, mi sono documentato. Ho cercato i ritagli di giornale dell'episodio in cui Rossini tenta di fare del contrabbando nel lago con un maiale della seconda guerra mondiale. Ho trovato il ritaglio che parla del ritrovamento. Volevo respirare l'ambiente del mio personaggio».

Che effetto le ha fatto vedere questi luoghi, dopo averli sentiti raccontare da Rossini?
«Sono posti molto affascinanti, capisco la scelta di Rossini di andare a vivere lì»

Che idea si è fatto dei nostri contrabbanieri: banditi o gentiluomini?
«Banditi assolutamente no. Era un ambiente che sfruttava, per vivere, un luogo geografico, il confine, ma che considerava quello come un lavoro vero. Tra contrabbandieri e finanzieri c'era poi una tolleranza che oggi sarebbe impensabile, la gente di quei luoghi si dava una mano».

La affascina questo scorcio di criminalità vecchio stampo?
«Si, molto, era una malavita che aveva un rapporto stretto e che viveva in equilibrio con il proprio territorio. La criminalità di oggi, invece, tende a sfruttare e a depredare, è questa la differenza».

Cos'altro la colpisce di quel mondo?
«Che ci fossero delle regole precise. I contrabbandieri sono l'ultimo esempio di una storia della criminalità dove le regole andavano rispettate. Erano, in fondo, dei pacifici montanari».

Non è la prima volta che lei inserisce Varese nei suoi libri. In un episodio di "Arrivederci Amore ciao", si parla di un assalto a un supermercato con fucili a pompa. Si è per caso ispirato all'assalto di Induno Olona, avvenuto qualche anno fa?
«Sì, siete a primi ad accorgersi di questo particolare. È un episodio che mi colpì. L'ho letto, studiato e anche un pò romanzato. Utilizzo spesso nei miei libri fatti realmente accaduti, perchè i lettori credo ci si ritrovino meglio».

Lei crede quindi che i libri noir siano più adatti di altri a raccontare la realtà?
«Assolutamente sì, scrivere una storia criminale, con un luogo e dei riferimenti precisi, ha senso per raccontare anche la realtà sociale ed economica di un luogo. E poi contruibuisce alla narrazione di una storia collettiva di questo Paese».

Nei suoi libri ci sono due categorie di eroi: quello cattivo, freddo e opportunista, come in "Arrivederci amore ciao", e quello romantico che affonda le sue radici nella malavita vecchio stampo, come Beniamino Rossini. Per quale dei due parteggia?
«L'analisi è corretta. Ma io non parteggio per nessuno. Io racconto Rossini con grande affetto ma anche con chiarezza. E poi cerco di raccontare anche quanto assurda e feroce sia la nuova criminalità».

Quanto ha amato questo personaggio?
«Molto, e infatti lo userò ancora. Ho amato molto anche il vero Rossini, e la sua capacità di costruirsi una nuova vita».

Tornerà al romanzo "cattivo" sul nord est?
«Ora ho altri due progetti, ma fra 3 anni scriverò una nuova storia dell'Alligatore e sarà ambientata nel nord est. L'importante è trovare una storia che valga la pena di raccontare».

Il suo nord est è popolato di criminali incalliti e gente senza scrupoli, ha un rapporto di amore-odio con questo territorio?
«Ho un amore viscerale per il mio territorio, lo amo molto e vorrei che fosse meglio frequentato...»

I suoi fans si considerano una comunità. Ne è orgoglioso?
«Sì, molto. Ho un rapporto diretto con i miei lettori, mi permettono di verificare il mio lavoro e di evitare il pericolo maggiore, ovvero quello di scrivere solo per se stessi».

Il successo le ha cambiato la vita?
«No, mi fa piacere ma non ha cambiato nulla».

Il suo libro più amato?
«Non ce n'è uno in particolare».