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Divorzio all'islamica, abbecedario umano

Autore: Paolo Fallai
Testata: Corriere Della Sera
Data: 6 novembre 2010

Scrive in modo cinematografico Amara Lakhous e lo sa. Quando nel 2006 esordì (in Italia) con il suo «Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio» era scontato che sarebbe diventato un film. Troppa grazia nella polifonia del racconto, troppo delineati personaggi che di solito letteratura e cinema ignorano. Troppo forte la sberla che rifilò a tutti noi costringendoci a riflettere non sull' immigrazione, ma sulle persone che fanno parte della nostra vita quotidiana. Non sul fenomeno dell' integrazione, ma sulle barriere, linguistiche, burocratiche, culturali che ne fanno un problema e non una opportunità. Amara è algerino, ha lavorato alla radio, ha conquistato l' italiano come una opportunità e non come un problema. Il risultato è il clamoroso successo di quel suo primo romanzo e il suo nuovo libro «Divorzio all' islamica a viale Marconi» (pubblicato come il primo da E/O). Non è cambiato lo stile, anzi il titolo ammicca perfino foneticamente al successo del 2006. Ma dove allora c' era un coro, stavolta ci sono solo due personaggi: Issa e Safia, se vogliamo scegliere i loro nomi arabi, Christian e Sofia, a volerli indicare con nomi italiani. L' architettura del romanzo ruota ancora una volta su un equivoco: quello che appare sulla schiuma delle parole è un intreccio giallo-spionistico che non disdegna frequenti riferimenti all' attualità, al terrorismo, al fondamentalismo e al pregiudizio. Ma non c' è da fidarsi di Amara Lakhous: pagina dopo pagina depone una rete, un intrattenimento, un imbroglio. Quello che interessa veramente a questo cocciuto algerino è aprirci la testa per vedere quante rape ci sono nate e cresciute. Così, nello svolgere la storia ci parla dell' islam, prendendoci per mano e accompagnandoci nella conoscenza del Corano e delle tradizioni. L' uno e le altre autentiche, non quelle che presumiamo di sapere dai bignami presupponenti della nostra arroganza. Attenti, se pensate che lo faccia nascondendone gli aspetti che ai nostri occhi sono meno condivisibili o addirittura meno comprensibili, siete fuori strada. Lui non censura, non tace: cerca di spiegare. Allo stesso modo cerca di cucire addosso al nostro corpo tatuato di pregiudizi, i vestiti, le emozioni, le paure di chi esercita l' «impresa» di immigrare in Italia. Impresa, sì, perché le famiglie di origine pagano cifre altissime per conquistare il viaggio, perché si sceglie il figlio più sano per interpretare il ruolo, perché quei soldi vanno ripagati e in fretta. Leggetelo e non vi chiederete più perché i negozi gestiti dagli immigrati sono aperti sette giorni su sette. E capirete che tra immigrato e rifugiato non c' è parentela: solo i nostri occhi pigri possono confonderli. «Divorzio all' islamica» è un libro che andrebbe prescritto con la ricetta rossa, quella del servizio sanitario pubblico. Aspettando che Amara Lakhous smetta di occuparsi della nostra alfabetizzazione umana e sociale e si decida a scrivere un romanzo solo per il suo piacere. Prima o poi, ci riuscirà.