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Il questore passò con gli insorti

Autore: Bruno Ventavoli
Testata: TuttoLibri - La Stampa
Data: 4 novembre 2006

Cinquant'anni fa i carri armati sovietici stroncarono la rivolta ungherese: nelle memorie di Sándor Kopácsi e in un saggio di Dalos, lo scontro tra il potere e l'utopia di un socialismo dal volto umano, gli errori e le divisioni interne al partito

La mattina del 23 ottobre 1956 il questore di Budapest Sándor Kopácsi si alzò come sempre presto. Scherzò con la figlia che andava a scuola accompagnata dal cane e dal gatto. Era appena rientrato dalle ferie e sperava che la giornata non fosse troppo molesta. Il tepore insolito per l'inverno incipiente prometteva bene. Quando il suo assistente gli comunicò trafelato che molti lo stavano cercando insistenti e allarmati, capì invece che lo aspettavano momenti duri. Piccoli gruppi di studenti erano scesi in strada, rivendicando principi giusti ma sorprendenti per i tempi che correvano. Col passare delle ore i manifestanti diventarono una marea di operai, casalinghe, intellettuali, semplici passanti, che sventolava tricolori, senza simboli comunisti, urlava slogan per un'Ungheria democratica, senza russi. Con grande fragore buttarono giù anche l'immensa statua di Stalin. E' vero che il dittatore rosso era morto e il successore Krusciov ne denunciava i crimini. Ma quella furibonda ribellione al passato, così improvvisa, era impossibile. Le parole in breve diventarono fucilate, molotov, battaglie, linciaggi. Sándor Kopácsi, come questore, si trovò a dover gestire la situazione. Cercò di tenere insieme la legalità, i principi comunisti, il senso d'umanità, l'amore per la patria. Insomma, un'aporia. E pagò un prezzo altissimo perché la sua vita, come quella di milioni di altri esseri umani nell'Europa Centrale, andò sprecata. Forse per questo, ormai vecchio, superfluo alla Storia, decise di raccontarla.

Nell'80 la pubblicò col titolo In nome della classe operaia, ora riproposta come Abbiamo quaranta fucili, compagno colonnello per stare al passo con la messe di testi sul '56 magiaro. Eppure la vita di Sándor Kopácsi era partita con il piede giusto. Figlio di un operaio socialdemocratico, si era distinto nella lotta contro i tedeschi. Nel nuovo stato socialista aveva fatto una brillante carriera. A soli 32 anni era diventato il questore di Budapest. Credeva negli ideali del socialismo. Troppo miserabile era stata la condizione del popolo sotto il regime horthysta, per non sperare in un rinnovamento della società. Ma l'utopia rossa non si dimostrò un paradiso. I primi Anni 50, con la stalinista Rákosi, furono terribili. Nessuno era mai al sicuro. Bastava un sospetto, un'invidia, una delazione per andare al patibolo o nei gulag. Furono decine i dirigenti o gli operai di specchiata onestà che finirono male, in un incessante capovolgimento di ruoli tra carnefici e vittime. Kopácsi riuscì a restare a galla negli anni di terrore. Racconta di averlo fatto solo grazie all'onestà e alla fermezza. E se vogliamo credere alle sue parole, spiega anche di essere stato molto umano con i prigionieri di un gulag, contro gli stessi poteri forti del partito e gli aguzzini.

Durante i giorni dell'insurrezione antisovietica Kopácsi cerca di mantenere l'ordine, di non spargere sangue, e di capire da che parte sta la verità. Parla con gli uomini del potere, tratta con gli ambasciatori russi, gira nella città dilaniata dai combattimenti, entra nei covi degli insorti. Gradualmente passa dalla parte degli insorti e viene eletto dalla base numero due delle nuove forze armate. Quando i carri armati russi soffocano la rivolta, Kopácsi viene arrestato come tutti gli altri. Offre al lettore un terribile resoconto del processo al governo rivoluzionario. Nagy e Maléter si comportano con fierezza nell'interrogatorio farsa che li porta alla forca. Lui sfugge alla condanna a morte accettando un compromesso insieme a una confessione di «colpevolezza», senza - dice - tradire compagni e dignità. Forse riceve un aiuto da János Kádár, che gli fu riconoscente per aver avuto la vita salva ai tempi delle purghe staliniane. Dopo sette anni di carcere, Kopácsi viene amnistiato, lavora in fabbrica come tornitore. Poi ottiene un visto per raggiungere in Canada la figlia. Ogni tanto prende la sua sgangherata Buick e va a guardare le cascate del Niagara. E rimedita alla sua vita sprecata per costruire il socialismo dal volto umano.