Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

Racconto vita e avventure del mio compagno di cella

Autore: Lara Crinò
Testata: Il Venerdì di Repubblica
Data: 29 settembre 2006

Il contrabbando sul confine italo-svizzero e poi in mare, tra l’Adriatico e l’Egeo. Le rapine in banca. La galera, la libertà ritrovata, la malattia fatale che arriva quando si è scoperto un nuovo modo di stare al mondo. Certi scorci della vita di Beniamino Rossini li conoscevamo già. Perché il vecchio contrabbandiere è uno degli amici più fidati dell’Alligatore, l’investigatore protagonista dei noir di Massimo Carlotto (La verità dell’Alligatore, Nessuna cortesia all’uscita, Il corriere colombiano, Il mistero di Mangiabarche, tutti pubblicati dalle edizioni e/o). Quel che non sapevamo è che Rossini, per Carlotto, non è soltanto una creatura letteraria. Ma un amico di vecchia data, recentemente scomparso, cui lo scrittore ha dedicato il nuovo La terra della mia anima. Storia d’un uomo “malato d’avventura” ma anche di un’epoca criminale ormai finita. E di un’amicizia: quella nata in carcere tra Rossini e Carlotto, allora al centro di un “caso giudiziario” (accusato nel 1976 dell’omicidio di Margherita Magello, dopo la latitanza e otto anni di detenzione ha ottenuto la grazia nel 1993).

Cosa l’ha spinta a raccontare la vita di Beniamino?
È stato lui a chiedermelo, prima di morire. Io non ero convinto, ricostruire l’esistenza di un altro mi sembrava difficile. Poi l’ho fatto. Non perché l’avevo promesso, ma perché la sua parabola esistenzialeaveva una qualità intrinsecamente letteraria: un destino già segnato che cambia direzione.

Beniamino inizia come contrabbandiere.
È cresciuto a Ponte Tresa, vicino al confine italo-svizzero. Lì quasi tutti erano spalloni, contrabbandieri. Era quasi un lavoro. Negli anni Settanta però tutto cambia. Ad attraversare il confine non sono più le sigarette o il caffè, è il denaro; quello dei “padroni” che Beniamino detesta, da buon comunista, e quello dei sequestri, reato che odia.

L’epopea del confine quindi finisce…
Quando capisce che quel mondo sta scomparendo, Rossini passa ai traffici che si fanno con i motoscafi, di notte, attraversando l’Adriatico. E alle rapine.

Il mondo della mala diventa più pericoloso.
Beniamino si rende conto tardi che l’amore per l’avventura, la molla che l’ha spinto al crimine, implica violenza. Cerca un suo codice. Rapina le banche, ma con pistole scariche.

Rossini odia i mafiosi. In cosa è diverso il suo codice d’onore?
Beniamino fa parte di una “mala” profondamente anarchica. Niente capi, solo compagni d’avventura. Della mentalità mafiosa odia la gerarchia, l’ottusità dei soldati, il moralismo.

La sua compagna di rapine è infatti una transessuale.
Un mafioso non confesserebbe mai l’attrazione per un trans. Ma Beniamino sì. Anzi, quello è stato il grande amore della sua vita.

Molte pagine sono dedicate al carcere.
Quando ho incontrato Rossini nel penitenziario di Padova credevo fosse un U.F., in gergo un uomo finito. Non era così. Spesso, da liberi, parlavamo della galera. Del tempo ottocentesco che si vive dentro e non ha legami con il tempo di fuori. La gente chiede pene sempre più dure; è difficile far capire che molti anni di carcere non sono rieducativi.

Lei ha raccolo le sue ultime confidenze. Era pentito?
No, era dispiaciuto. Perché tornato libero aveva imparato un mestiere. Lavorava il vetro, era bravo. E seguiva i ragazzi di una squadra di hockey. Aveva una nuova vita lontano dalla mala. Ma è stata troppo breve.

La terra della mia anima è diventata uno spettacolo. Come sarà?
Ci sarà l’artista preferito di Rossini, Ricky Gianco, voce e chitarra. Io leggerò dei brani, ma non sul carcere, sull’avventura. A Beniamino sarebbe piaciuto così.