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Nell'archivio segreto della mafia

Autore: Marco Vichi
Testata: Left Avvenimenti
Data: 5 maggio 2006

Vetro Freddo è l’ultimo romanzo di Piergiorgio Di Cara (E/O). Ma del libro non diremo quasi nulla. Di Cara va gustato riga per riga, senza sapere a cosa si va incontro. Posso dire solo, per chi ancora non lo conoscesse, che questo scrittore siciliano è un poliziotto, per la precisione un commissario dell’antimafia. Leggendo i suoi noir si vive l’indagine “dal di dentro” e si vivono anche le emozioni del protagonista, le sue delusioni, la sua vita sentimentale. Insomma, la trama è avvincente, ma c’è anche lo spessore del romanzo “al di là del genere”.

Durante un’azione le capita mai di pensare: questa cosa mi può servire per un romanzo?
Certo, voglio dire, fare il mio mestiere, a volte è un po’ come vivere un romanzo. Non ha idea di quante situazioni assurde capitino: basta pensare a un’irruzione pistola in pugno in un casolare dove è nascosto un latitante, pensiamo alle emozioni che ci stanno dietro, immagini di trovarcisi dentro.

Non ha mai avuto paura di rivelare tecniche di indagine che possano aiutare i fuorilegge?
No, sono attento a tenere per me i segreti del mestiere, che poi il vero segreto è usare la logica e avere empatia, per imparare a ragionare come ragionerebbe un “bandito”. Ci pensano i giornali a divulgare notizie che sarebbe meglio nascondere, soprattutto sull’uso di certe tecnologie, fondamentali per guadagnare tempo e informazioni.

Scrivendo supera il “personale” e racconta la polizia con occhio obiettivo. Una capacità sviluppata nel tempo?
In linea di massima direi che mi viene istintivo, cioè credo di essere uno che scrive seguendo un flusso di pensieri e le parole con cui questi pensieri si sono formati. Nell’ultimo romanzo con Salvo Riccobono, Vetro freddo, non avevo idea della trama, sapevo solo che veniva trasferito in Calabria (dove anche io ero stato trasferito) in un piccolo commissariato di provincia, a questo punto mi sono messo in macchina con lui, gli sono statto attaccato lungo tutte le fasi dell’indagine, come fossi stato uno dei suoi compagni di lavoro, ed è stato così che sono arrivato a scoprire la verità insieme a lui.

Mai pensato di scegliere come protagonista un mafioso?
Sì, mi piacerebbe, anche se in questa fase della mia attività sento il bisogno di fermarmi un po’, cinque libri in sei anni sono tanti, ora devo ragionare meglio sulla storia, sulla scrittura e soprattutto vorrei misurarami con un genere diverso, e lasciare un attimo da parte il noir. Mi piacerebbe scrivere un libro ambientato nel paleolitico, partendo dalle incisioni della grotta dell’Addaura, qua a Palermo, un graffito straordinario, unico esempi odi graffito in cui si narra una storia in presa diretta, una sorta di articolo di giornale, di fumetto di cinegiornale ante litteram.

Lei entra nella vita privata del protagonista, nei suoi ricordi e nelle sue speranze. Sente il bisogno di non affidare tutto alla trama?
Noi raccontiamo le storie di persone, i loro affanni e le loro malinconie, non sarei capace di scrivere solo azione e detection. Non mi interessa neanche.

Lei ha partecipato all’arresto di Brusca. Ora è stato preso Provenzano. Che significa per l’Italia?
L’arresto di Provenzano è un evento di portata epocale nel vero senso del termine: si chiude un’epoca. È, secondo me, presto una valutazione in termini di polizia giudiziaria; si deve ancora valutare il materiale trovato nel suo covo, ma è come aver trovato l’archivio segreto, che ne so, di Mussolini. Un patrimonio di informazioni poderoso. E dobbiamo vedere anche cosa succederà all’interno dell’organizzazione, quali saranno gli assetti e gli orientamenti. Noi siamo pronti.