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L'Alligatore torna a indagare tra Padova e la Svizzera

Autore: Severino Colombo
Testata: La Provincia
Data: 1 ottobre 2009

Seduto a un bar sorseggia uno Spritz con l’aria losca di sempre, in attesa di una donna - una moglie fedifraga - da trattare male, perché lui di donne non ne ha mai capito niente. Così rientra in scena dopo sette anni di "latitanza" l’investigatore privato Marco Buratti, per tutti l’Alligatore. Di lui e della sua ultima avventura, L’amore del bandito, parliamo con Massimo Carlotto, 53enne padovano con un passato burrascoso e un presente che lo conferma come il più internazionale tra gli scrittori di noir italiani. L’autore sarà domenica 11 ottobre ospite con Tecla Dozio della rassegna La passione per il delitto (ore 11.30 B&B C - Rooms di Cremella).

Carlotto, innanzitutto, come sta l’«Alligatore »?

Direi bene, anche se nel frattempo, come tutti, è un po’ invecchiato. Non mi piace l’idea molto americana per cui un personaggio, libro dopo libro, resta sempre lo stesso. Il mondo cambia e l’Alligatore deve fare i conti con la realtà di oggi. È una storia di droga, rapimenti e ricatti che si svolge tra Padova, la Francia e la Svizzera.

Le pagine dedicate al fenomeno della nuova criminalità nel Nordest sono una denuncia della connivenza tra malavita, politica e imprenditoria. Ne esce un quadro inquietante…

Rispetto al passato è cambiato tutto. La vecchia cultura criminale cercava un equilibrio con il territorio. Poi la mafia del Brenta è "fallita" proprio come un’impresa e ha lasciato un vuoto. Oggi c’è il totale asservimento alle mafie straniere, è un saccheggio. Esiste un cartello che controlla il confine; da cittadino già da tempo partecipo in prima persona a momenti pubblici per denunciare il legame tra evasione e riciclaggio del denaro: la gente deve sapere come stanno le cose.

A proposito di confine, una parte del racconto è ambientata a Lugano (luogo, lei scrive, "dove non accade mai nulla"). Conosce la realtà di frontiera tra Como e la Svizzera?

Molto bene. Li ho ambientato un romanzo (La terra della mia anima ndr), che racconta le memorie del contrabbandiere Rossini, che è poi il "bandito" del titolo. Ho usato il quotidiano La Provincia per documentarmi su chi erano gli spalloni e cosa facevano. La grande differenza è il confine: da quello con l’Est può transitare di tutto senza alcun controllo, quello con la Svizzera, invece oggi è, a quanto mi risulta, molto più tranquillo, abbandonato da traffici criminali.

Nel romanzo precedente «Perdas de Fogu», scritto con il collettivo Mama Sabot, si era occupato del legame tra sperimentazione belliche e patologie tumorali al Poligono sardo di Salto di Quirra. Perché sempre più spesso il giallo sconfina nell’inchiesta giornalistica?

Sono i lettori a volerlo. È un fenomeno unico che accade solo in Italia; sono in molti a proporre agli scrittori di occuparsi di questo o quell’argomento. Per questo una parte della letteratura di genere è inchiesta. La conseguenza è che cambia anche il lavoro dello scrittore. Devo documentarmi molto di più, ci sono persone che mi aiutano a raccogliere il materiale.

Ultimamente le è capitato di scrivere libri con altri: Francesco Abate, Marco Videtta, i Mama Sabot. Come mai?

Quando si lavora a un romanzo con il taglio da inchiesta che si diceva prima è quasi necessario essere in coppia o in gruppo. Nel caso poi di scrittori esordienti, è un’esperienza molto positiva. Alcuni con cui ho iniziato sono in grado di correre da soli.

Passiamo ad argomenti più frivoli, musica e cucina, le sue passioni. In alcune pagine si diverte a prendere in giro i ristoranti alla moda dove i nomi dei piatti "evocano trionfi di sapori", ma al palato sono solo "un’accozzaglia di gusti". Cosa non le va giù?

È vero sono un appassionato enogastronomo, ho anche militato nello Slow Food. Ciò che non riesco a capire del mondo di oggi è perché abbiamo abbandonato la cucina tradizionale in nome di piatti appiccicati e inventati.

Per fortuna resta la musica… In effetti negli ultimi anni il jazz in Italia ha avuto un buon sviluppo, il blues non altrettanto, ma noi amanti del genere non siamo preoccupati: il blues non muore mai. Nel finale del libro il protagonista dice, amaro, a un amico "Siamo vecchi attrezzi di un passato che non tornerà". Ha di nuovo intenzione di mettere a riposo l’Alligatore?

Niente affatto. Il romanzo è il primo atto di una trilogia. Nel secondo il protagonista andrà a spasso per l’Europa, nel terzo vedremo. Poi, negli incontri con i lettori, si finisce a parlare delle fidanzate di Alligatore e la cosa mi diverte un sacco.

Lei firma anche uno dei nuovi episodi della fiction tv Crimini (nel 2010 su Raidue). Di cosa tratta?

È una vicenda dal taglio molto cinematografico che si svolge al Nord, tra Milano Padova e Trieste. In più c’è una curiosità: è la prima volta che il protagonista di una mia storia appartiene alle forze dell’ordine.