Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

Latitante per caso

Autore: Gabriele Romagnoli
Testata: Tuttolibri - La Stampa
Data: 4 marzo 1995

Un libro puoi anche leggerlo come se fossero tanti libri diversi. Accade, per esempio, con Il Fuggiasco di Massimo Carlotto. Puoi considerarlo un frammento dell'autobiografia di un uomo che è stato un caso giudiziario, processato e riprocessato con verdetti alterni per l'omicidio di una studentessa avvenuto a Padova nel '76 e infine graziato. Puoi vederci un racconto- reportage sulle avventure di un "latitante per caso". Puoi far finta di non conoscere la cronaca e leggerlo come un divertente romanzo breve di un autore padovano. O puoi farne la cosa più utile: tenerlo da parte come un prezioso manuale per sopravvivere in fuga nel caso ti diano la caccia per un reato che non hai commesso. In un mondo dove si mandano serenamente sulla sedia elettrica gli innocenti, può capitare a chiunque.

Quel giorno sarà utile conoscere le regole che Carlotto insegna.

Primo:"il look per il latitante è fondamentale...deve essere sobrio e il più possibile rassicurante. Deve dare l'impressione ai poliziotti che lo osservano o che lo hanno fermato di perdere solo del tempo, perché è impossibile che uno così sia un poco di buono".

Secondo: bisogna inventarsi personaggi e cambiarli spesso.

Terzo: occorre essere paranoici, valutare con sospetto ogni mossa che si fa e chiedersi se è sicura. L'esperienza consiglia: " passo veloce, occhio fisso alla strada, uso dei mezzi pubblici, ma gettando sempre via il biglietto per evitare che, in caso di cattura, permetta alla polizia di arrivare al nascondiglio, attento studio della topografia cittadina per valutare i percorsi,conoscenza maniacale degli scenari tipo del quartiere in cui si vive, per cogliere subito la nota stonata e scappare".

Quarto: non si deve uscire mai dalla cerchia degli esuli o si incontra subito chi ti tradisce e ti riconsegna ai tuoi inseguitori, come accade a Carlotto con un avvocato messicano.

Nel libro ci sono anche altri comandamenti, ma c'è soprattutto una galleria di personaggi accomunati dal destino della lontananza dal proprio mondo. Schiacciati dalla nostalgia e dall'ingiustizia, ma salvati dalla generosità e dalla fede. Sono incontri segnati e veloci, perché un latitante ha poco futuro da condividere. C'è "Ramòn", il fuggitivo tedesco conosciuto in carcere che fa in tempo ad insegnare a Carlotto che "la latitanza è come un Blues: uno stato dell'anima", prima di morire ammazzato di botte dai poliziotti. C'è Lolo, il cileno che amava Vicky, la politica e la musica e che "morì al rallentatore", di cancro, con gli amici intorno a tenerlo per mano, a controllare che gli auricolari fossero inseriti perché voleva andarsene in compagnia della musica, e lo fece ascoltando De Gregori. C'è Tomàs, il cantautore guatemalteco, anche lui obeso "al punto che vicini sembravamo due personaggi di Botero", che lo porta a fare un lungo viaggio in autobus, fino a un ponte, a un muretto sul quale sedersi, mangiare, sostare un pomeriggio, a guardare. Perché il ponte è gettato sul confine e oltre c'è la terra dove Tomàs è nato ma dove non può tornare perché lo aspetta la morte.

E allora guarda e basta, in silenzio, "anche se dentro di sé stava suonando e cantando", e quando si è riempito gli occhi dice soltanto "Ho freddo. torniamo a Città del Messico". A morire.

Carlotto invece è tornato in Italia, ha conosciuto nuovamente il carcere, poi la malattia,infine la grazia. Ora ha scoperto la scrittura, che non guarisce le ferite, ma le racconta. Le sue e quelle dei Ramòn e dei Tomàs di tutta la terra. Ferite insanabili. Quando arriva in fondo al racconto Carlotto scrive "potrei dedicarmi alle sedute spiritiche; è un pezzo che voglio convincere la buonanima di Edward Hopper a infilarmi nel suo Nighthawks. Mi piacerebbe essere appoggiato al bancone di quel bar del'42 tra la macchina del caffé e la tizia con i capelli rossi. In silenzio, sobrio come un giudice, ad aspettare che la notte finisca". Ma se gli chiedi quando finirà risponde: mai. Poi ti parla di Silvia Baraldini e del nuovo libro che sta scrivendo, un giallo che parla dell'omicidio di una studentessa commesso a Padova nel 1976. A quel punto capisci che, anche dopo la grazia, è un uomo prigioniero. Prigioniero della sua storia. E anche se riuscisse ad entrare nel quadro di Hopper ci troverebbe la tipa rossa sgozzata e un poliziotto che lo dichiara in arresto e dovrebbe fuggire: a Parigi, in Messico, in un quadro di Magritte, in un incubo più accettabile.