Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

Claudio Morici, L'uomo d'argento

Autore: Luca Moretti
Testata: Terranullius
Data: 3 aprile 2012

Un altro mondo è possibile. Un altro mondo è, soprattutto, inevitabile, e Morici ha avuto l’ardire di raccontarlo in maniera surreale, ironica e distaccata. Almeno all’apparenza...

Morici ha costruito una città, dentro ci sta un mondo, un non pensiero, un’umanità e un protagonista definitivamente al di là del bene e del male, al di là del pensiero, al di là dell’essere.

Un mondo che rende vezzo e sciocchezza tutto ciò che è contemporaneo: l’economia, la fatica, il voler recuperare in maniera irrinunciabile e dolorosa una crisi che è solo lo stato terminale, proprio come lo era l’euforia e l’ottimismo del progresso, di una terribile fandonia.

Dopo che è successo quello che è successo, dopo che una grave crisi economica ha investito il mondo, portando via con la sua mareggiata soldi, lavoro e benessere, si è salvata solo una città. In essa si sono asserragliati un gruppo di giovani intenti ad abbandonare ogni preoccupazione e progettualità e a vivere di un giusto rapporto tra opportunismo e disimpegno, tra alcol, droghe e promiscuità.

La tesi è semplice: tutto si compie annullando la volontà.

Un uomo d’argento, nella sua immobilità, sembra rappresentare questo mondo per intero: lui è il Maestro.

Ma anche al di là del bene e del male, tutto si replica, tutto ritorna: il razzismo, l’esclusione, le scale sociali in cui qualcuno viene sempre prima di qualcun altro. Anche l’analista, memore dei trascorsi personali dell’autore, appare come un cane che si morde la coda, si specchia nell’analizzato in un continuo scambio semantico, c’è solo un valore - ormai in disuso dopo che è successo quello che è successo - a definire i due ruoli: il denaro. Uno guadagna, l’altro paga, ma sono entrambi prodotti e vittime del contemporaneo, se non ci fosse il denaro diverrebbero intercambiabili, facce ossute della stessa medaglia.

L’uomo d’argento è stato scritto in almeno trenta città diverse, recita una delle bandelle del libro, e si vede. L’autore è consapevole di gente e di luoghi, lo è il suo romanzo, un libro che non sembra essere stato scritto da un italiano.

Ma l’uomo d’argento, poi, chi è?

È un pezzo di merda, un Maestro che ti osserva immobile, un novello Siddartha che sta seduto lì, su quella panchina, tutto di argento, come se il mondo fosse altrove, troppo lontano dall’inerzia delle sue gambe serenamente accavallate.