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Massimo Carlotto, La terra della mia anima

Autore: WM1
Testata: Nandropausa #11
Data: 15 dicembre 2006

http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/nandropausa11.htm

Inizio con una digressione. (?)
Lo scrittore Gianni Biondillo definisce "effetto IBS" quello che si determina quando un autore supera una certa "soglia", si tratti del volume di vendite, dell'attenzione da parte di pubblico e/o critici, dell'estendersi di una comunità intorno ai suoi libri o del "combinato disposto" di tutte queste cose. Quando ci si accorge che un autore è particolarmente seguito, rispettato e amato, ecco l'effetto IBS (dal nome della libreria on line che più ha scommesso sullo user-generated content, ossia le recensioni da parte dei lettori). Biondillo lo spiegava così, in un commento estemporaneo apparso sul blog Lipperatura:

Fateci caso: andate a vedere libri che hanno venduto molto in Italia, indifferentemente se di genere o non di genere, se di giovani o di vecchi, se di uomini o di donne, se di italiani o stranieri. Appena il libro in questione diventa un successo editoriale, nei commenti dei lettori su IBS scatta una vera e propria mutazione genetica. Dapprima si leggono solo commenti positivi, di lettori entusiasti, poi, d'improvviso entrano a gamba tesa i commenti negativissimi, non circostanziati, aggressivi, volgari. In Italia il successo scatena invidie terrificanti.

A ben vedere, non è un problema dell'Italia né di IBS: su Amazon - che pure ha più filtri a garantire la qualità del feedback - accade più o meno la stessa cosa, come spiegava John Sutherland sul Daily Telegraph del 19 novembre scorso. Sutherland fa notare che il bersaglio non sono soltanto gli autori famosi: chiunque può attirarsi antipatie per i motivi più svariati, e così cadere vittima del meccanismo. Ecco uno stralcio dell'articolo:

All'inizio di agosto è comparsa, tre settimane prima dell'uscita del libro, una "recensione' (si fa per dire) della biografia di Leonard Woolf scritta da Victoria Glendinning, postata da "Geena" su amazon.co.uk. Ciò accadeva molto prima che il libro fosse disponibile al pubblico, e prima che sui media apparissero recensioni. Eccola: "Ho appena ricevuto una copia promozionale di questo libro e sono rimasta molto delusa dalla povertà della scrittura e del lavoro di ricerca. La Glendinning scrive tra sfoghi d'entusiasmo, il che è già abbastanza sgradevole, ma fa anche un grande numero di errori, che qualunque lettore di Bloomsbury saprebbe individuare". Fine della recensione. Nessun chiarimento su quali siano gli "errori". Su quali basi, da sotto il suo nomignolo-mannaia, "Geena" fondi la sua stroncatura non ci è dato saperlo. Motivi personali? Impossibile capirlo. La sua è rimasta l'unica recensione sulla pagina fino all'uscita del libro, cosa che ha avvelenato il pozzo della Glendinning [...] Il Recensore Numero Uno di Amazon è Harriet Klausner (indicato come "vero nome"), specializzata in lunghe "recensioni" di narrativa, basate sul riassunto delle trame. Nel momento in cui scrivo, ha al suo attivo 12.535 recensioni. Nel momento in cui leggerete, ce ne saranno molte altre *. La signora Klausner "recensisce" fino a venti libri alla settimana. Tutte le settimane. Costei sta ai libri come una falciatrice sta all'erba.

Pure noi WM possiamo fare qualche esempio. Su Amazon un tale ha scritto di aver capito l'identità di "Q" nelle prime cento pagine del romanzo (cosa impossibile, per motivi che risulteranno ovvi a chiunque conosca il libro), e un altro ha scritto di aver abbandonato la lettura dopo il primo capitolo, sconvolto dall'incredibile numero di parolacce (nel primo capitolo non vi sono parolacce).
A creare "inquinamento segnico", più che gli insulti, sono proprio le stroncature arbitrarie, basate su tautologie, affermazioni indimostrabili o premesse false, sentenze di condanna senza esempi né motivazioni.
Esistono libri che navigano su un mare di rispetto e attenzione, sorretti e difesi dalla qualità che i lettori hanno saputo trovarvi e, se anche c'è un attacco "a gamba tesa", la moneta buona scaccia quella cattiva: un giudizio argomentato toglie impatto alla frasetta stizzita e lapidaria; più giudizi argomentati ne rovesciano l'effetto.

Tuttavia, se l'attacco viene condotto a libri appena usciti (sovente prima che chiunque abbia avuto il tempo materiale di leggerli) o a libri di esordienti, e il vetriolo è gettato in volto ad autori poco conosciuti pubblicati da piccoli editori, il risultato può essere devastante. Così, se a nessuno frega niente che in calce alla scheda di Romanzo criminale compaiano occasionalmente stroncature immotivate come: "Ha grandi pretese, ma è un polpettone insopportabile. Da evitare", perché il libro di Giancarlo De Cataldo si presenta e difende da solo, un autore più debole può subire gravi danni da una condotta del genere**. Per dirla con Sutherland, è l'avvelenamento dei pozzi.
Da un po' di tempo IBS si è accorta del problema e ha cercato di mettere "filtri". In testa al modulo per i commenti si specifica che la redazione eliminerà "i commenti ingiuriosi, e a qualunque titolo offensivi nei confronti dell'autore e dell'opera", nonché le "stroncature immotivate". Auguri, non è un compito facile.

Ovviamente, mediatori e "guardiani della soglia" ne approfittano per denigrare la rete tout court, la comunicazione orizzontale, la creazione dal basso, le illusioni di una democrazia diretta nella cultura etc. "Ridateci la delega e affidatevi a noi, vi spiegheremo cosa pensate!" Come se commenti "negativissimi, non circostanziati, aggressivi, volgari" non si leggessero anche sui giornali, firmati da vecchi e giovani tromboni. Come se il malcostume di recensire libri senza leggerli non fosse diffuso anche tra gli accademici e i loro assistenti. Come se l'iscrizione a qualche Ordine o Albo fosse garanzia di qualcosa.

Veniamo a Massimo Carlotto. Quest'autore si è sempre mosso con grande dignità e umanità. Libro dopo libro, ha guadagnato affetto e rispetto. Il passaparola tiene viva una comunità attenta, che fa riferimento a lui anche per campagne e mobilitazioni (si veda il sito ufficiale). Non tutti i suoi libri mi hanno convinto (ho trovato deludenti Il maestro di nodi e Nordest), ma altri (in realtà l'80% della sua produzione) mi hanno scosso, abbrancato e spinto in mezzo alla bufera: dall'autobiografico Il fuggiasco a Le irregolari (Buenos Aires Horror Tour), passando poi ad Arrivederci amore ciao ( mi è piaciuto anche il film di Soavi, con Alessio Boni al picco delle sue capacità autoriali e stranamente somigliante a un fratello malvagio di Guido Chiesa) e L'oscura immensità della morte. C'è chi accusa Carlotto di avere uno stile troppo scarno e piatto, di limitarsi a mettere le parole una in fila all'altra finché non arriva all'ultima riga; in realtà la sua è una voce unica in Italia, non somiglia a nessun'altra e te ne accorgi perché, terminata la lettura di un suo libro, ne senti l'eco per giorni.

Orbene, mi chiedo se Carlotto non stia pian piano raggiungendo la soglia di successo oltre la quale, secondo Biondillo, partirebbe l'Effetto IBS. Un libro arrivato alla Top 10 delle vendite (Nordest), traduzioni all'estero, due film tratti da suoi romanzi, un racconto nella fortunata antologia Crimini (da cui la RAI sta traendo una serie televisiva)...
Dopo l'ultima riga de La terra della mia anima, ho perlustrato la rete in cerca di commenti. Commenti sui libri di Carlotto in generale, non soltanto sull'ultimo. Su IBS, in mezzo a giudizi motivati e coinvolti (positivi o negativi che fossero), ho trovato perle tipo queste:

"La storia è si incalzante ma anche noiosa" [!]
"Tanto noir e così poca letteratura. Tutto un genere: le noir inutil".
"Ho letto tre romanzi di Carlotto e ormai mi sono fatta un'idea precisa. E' davvero un modesto artigiano della parola e nulla più".
"Uno scrittore decisamente sovrastimato, quando in realtà è ripetitivo, approssimativo e assai trasandato nella scrittura. Era il mio secondo tentativo con Carlotto, ma anche l'ultimo".
"Scrittura con poco respiro, sembra un diario di un alcolista che pur di non rinunciare al suo calvados ne costruisce un racconto.
Superficiale, poco intrigante e coinvolgente. Che brutte le pagine sui ricordi del carcere, sciatte e affrettate".

Intendiamoci, è ancora robetta, per giunta occasionale, ma avverto quell'elettricità nell'aria, quello sfrigolìo a fior di pelle che precede le aggressioni in branco, il convergere sbavante dei gretti e degli invidiosi... Spero di sbagliarmi.
A proposito dell'ultimo libro, su IBS ho trovato questo commento (invero più articolato dei patetici one-liners riportati sopra):

Operazione esclusivamente commerciale: narra la storia di un delinquente, fallo sembrare un eroe e capovolgi la logica umana. E' un peccato che Carlotto sia scivolato in questo modo, perchè è un valido autore di noir, a cui è meglio che ritorni. Come stile è il solito suo, valido, ma far apparire edificante un personaggio che in fin dei conti è un farabutto e per di più fallito mi sembra una forzatura eccessiva e altamente diseducativa.

Stronzate dalla prima all'ultima sillaba.
Ben lungi dall'essere un'operazione "esclusivamente commerciale" (è anzi probabile che molti lettori di Carlotto, anche del "nocciolo duro", abbiano storto il naso), La terra della mia anima è un pegno, è il mantenimento di una promessa a un amico che muore. Carlotto ha assunto il ruolo di "scrittore residente" a cui accennava Peter Bichsel: l'uomo a cui ti rivolgi perché racconti una storia, la tua storia. O meglio, la sua, di Beniamino Rossini, ex-contrabbandiere comunista ed ex-rapinatore cane sciolto, ex-compagno di carcere di Carlotto, amico che ha dato il nome a un personaggio del ciclo dell'Alligatore. Rossini, malato di tumore, si presenta a Cagliari e chiede, anzi, pretende che l'amico raccolga e scriva la sua storia. Carlotto esegue e ne ottiene un libro dolente, spezzato in diversi tronconi, spezzato come i cuori che vi palpitano dentro, tra le montagne al confine con la Svizzera e un Adriatico pieno di insidie, tra la Spagna della transizione post-franchista e la metropoli italiana con le sue angosce e le sue carceri.

"Diseducativo" questo libro? Nulla di più lontano dal vero. Io, che pure ho letto molto sull'Italia tra ricostruzione e boom economico, sono rimasto spiazzato dal modo in cui Rossini racconta quegli anni, da un punto di vista di margine e di frontiera eppure dentro tutte le contraddizioni dell'epoca, anche planetarie. E ho imparato (ri-imparato?) qualcosa di importante.

Spiazzante è, ad esempio, il modo in cui, seguendo le peripezie dei contrabbandieri dell'alta Lombardia, ti arriva potente la percezione di cosa sia stato il movimento comunista internazionale, di quale ingente investimento etico e sentimentale milioni di persone abbiano fatto sull'immagine e il progetto di una società senza classi. Spiazzante capire che in quell'angolino di mondo s'incrociavano tendenze globali decifrabili, leggibili da tutti i coinvolti. Da questo punto di vista, il contrabbando è un mestiere "privilegiato": ti mette a contatto diretto con le merci e la loro distribuzione, liberando quest'ultima da tutte le pastoie giuridiche, fiscali, insomma: "sovrastrutturali".

Su tutti i personaggi spicca il contrabbandiere eremita Enrico Barbun, comunista non inquadrato che nell'ottobre del '60 "mandò in malora un trasporto di sigarette per scendere in paese e guardare la prima puntata di Tribuna Politica nell'unico bar che possedeva un televisore. Uscì ridendo come un pazzo e gridando col suo accento tedesco: 'Teste di cazzo. Grandi, enormi, stupefacenti teste di cazzo!'".

"Eroe" il protagonista del libro? Altra idiozia. "Farabutto e per di più fallito". Forse è questo che non si perdona a Rossini: di non essere stato un vincente. Forse è per questo che, con tutti i libri pieni di killer fichissimi e gangster affascinanti, si definisce "diseducativo" proprio il memoriale di un umanissimo delinquente, fatto anche di smacchi e delusioni, cadute e lacerazioni.

 

La parte sul carcere, dove Carlotto stesso fa la sua comparsa, è trattata con molta delicatezza e discrezione. Discrezione giustificata e lodevole, ma forse eccessiva, poiché lascia con la voglia di saperne di più, molto di più.

 

Beniamino Rossini è morto il 7 maggio 2006. C'è nel libro una frase cruciale, una scheggia di testamento spirituale che davvero riempie il cuore, comunque la si pensi e in qualunque direzione si vada:

n questo preciso istante sono pervaso da una stanchezza indicibile, pessimo e chiaro segnale del progredire della malattia, e avverto la necessità di riconciliarmi. Non con la religione ma con la politica. Voglio morire comunista. E ribelle. Voglio tentare di andarmene pervaso da un senso di appartenenza. Forse è una furbizia per sentirmi meno solo, ma il desiderio è sincero e preferisco il cuore in tumulto e la testa piena di sogni alla rassegnazione e all'urgenza del pentimento.

Che si può dire dopo una frase del genere?
Solo ciò che già ha detto Gioacchino Toni concludendo la sua recensione su Carmilla.
Giù il cappello, fate il favore.
Giù il cappello.

* 12.862 nel momento in cui chiudiamo Nandropausa. In 23 giorni ha "recensito" 327 libri!

** Per non dire della bile verde vomitata su Roberto Saviano e il suo Gomorra: da mesi Saviano è al centro di un cecchinaggio virtuale solo perché il suo libro vende bene. Il discorso sarebbe lungo: c'è sì la tradizionale invidia per chi si rivela non mediocre, ma avvertiamo qualcosa in più; quel che non si perdona a Saviano è l'avere disintermediato la conoscenza delle dinamiche di camorra, scrivendone con uno stile e un linguaggio diversi, divulgando, raccontando a un maggior numero di persone ciò che prima, fuori della Campania e talvolta anche dentro, era noto solo a pochi esperti (magistrati, funzionari DIA, cronisti) ed "esperti". Ovviamente sono questi ultimi, i virgolettati, a non gradire lo scavalcamento e a istigare la canea. Aggiungiamo il fatto che tra costoro vi sono scrittori frustrati e astiosi (tra le categorie meno lucide nel Paese, oltreché un vero cancro della Rete), gente che per avere il successo di Saviano si sarebbe baciata entrambi i gomiti: ora il quadro è completo.
Il catalogo delle grettezze e vigliaccate è molto ricco: "queste cose le sapevamo già tutti", "è solo un'operazione di marketing", "è un paraculo", "in realtà è un camorrista", "non è vero che è sotto scorta", "se pubblica per Mondadori che cazzo vuole", "adesso fanno il film quindi era tutto pianificato"... Tutto ciò mentre il bersaglio della polemica, a soli 28 anni, conduce una vita sotto protezione armata in una città non sua, da sorvegliato a vista. Anzi, il fatto che sia sotto scorta è considerato un'aggravante: "La scorta? Ma chi si crede di essere?" Ha ragione Daniele Luttazzi: "L'Italia è un Paese così: se subisci un sopruso, non te lo perdonano".