Il trionfo del male
Testata: Il Giornale di Brescia
Data: 21 maggio 2011
Non c'è nulla che possa lavare via l'aura del criminale, del killer. Dell'uomo spietato. Non bastano soldi, appoggi politici, né la cortina di apparente normalità. Non è questione di essere o non essere predestinati, ma se emergi a colpi di pistola, come puoi pensare che nessuno passi, prima o poi, a presentarti il conto?
Giorgio Pellegrini - tremendo protagonista di «Arrivederci amore, ciao», tra i più bei noir italiani di sempre - forse pensava proprio questo, di aver ottenuto l'immunità. Chi poteva minacciarlo, vista anche la protezione del potentissimo avvocato e onorevole Sante Brianese, che lo aveva fatto scagionare da ogni accusa di aver assassinato la moglie?
Ed eccolo qui, dunque, il nuovo mondo di Pellegrini, nella tranquillità del Veneto: la «Nena», locale modaiolo e fulcro di incontri di quotidiana corruttela politica; Martina, moglie succube sottoposta a inauditi condizionamenti psichici; Gemma, l'amante da trattare a colpi di soprusi. Ma quando Giorgio scopre che proprio Brianese lo ha fregato, capisce di non essere più il segugio sanguinario che pensava. Prova a reagire, ma l'avvocato lo sbatte al tappeto.
L'istinto del sangue, però, è troppo forte: minacce, regolamenti di conti, rapimenti, omicidi. Le «buone abitudini» di Pellegrini tornano in superficie, perché quando c'è lui nei paraggi... il male vince sempre e comunque.
Aggiornando luoghi e temi, ma mantenendo una lucidissima capacità di scrittura, Massimo Carlotto con «Alla fine di un giorno noioso» torna ad uno dei suoi personaggi più riusciti, addensandone la personalità malata con nuovi, inquietanti risvolti. E forse anche... con qualche vuoto di memoria, visto che l'omicidio della prima moglie si trasforma in «incidente». Come accade quasi sempre nei sequel, anche stavolta non si riesce a raggiungere il livello dell'originale, ma Carlotto regala comunque pagine di grande tensione narrativa, gettando anche uno sguardo impietoso alla realtà di questi nostri tempi, dove persino uno squalo famelico come Giorgio Pellegrini trova sì degli avversi degni, ma nella «bella società».