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Aleksander Kaczorowski - Il gioco della vita

Autore: Nicola Fano
Testata: Il Foglio
Data: 3 marzo 2007

La vita è un romanzo: ecco una bugia romantica che solo pochi scrittori si sono preoccupati di smentire. García Márquez, per esempio, ma anche Svevo, per restare ai grandi del Novecento. E Bohumil Hrabal, anche. Il fatto è che questi scrittori hanno tempestato i propri romanzi di eventi e figure caratteristiche della loro biografia. Al punto che Cartagena, la cittadina colombiana cui García Márquez ha dedicato le sue epopee, ha deciso di recente di ribattezzarsi Macondo. O al punto che la nipote di Ettore Schmit, Livia Veneziani, ritenne di doversi chiamare in pubblico Livia Svevo.

Paradossi della letteratura. Di cui è zeppa l’esperienza umana e letteraria di Bohumil Hrabal: tutti i suoi lettori hanno imparato a riconoscere Zio Pepin, per esempio, cantore un po’ pazzo un po’ drammaticamente consapevole che popola i romanzi di Hrabal, sapendolo al confine tra realtà e finzione, ma pur sempre ben radicato nella biografia (vera) dello scrittore. Ebbene, a dipanare questo intreccio sopravviene ora un bel libro del critico polacco Aleksander Kaczorowski.

Non è un biografia nuda e cruda, diciamolo subito, proprio perché la vita di Hrabal riempie già i suoi romanzi: è un catalogo di illazioni sullo scrittore, costruito seguendo la duplice traccia della vita e delle opere. A partire dall’epilogo drammatico: la morte dello scrittore, forse un suicidio, forse un incidente. Come si ricorderà, Hrabal il 3 febbraio del 1997 si sporse dalla finestra della sua stanza dell’ospedale Bulovka di Praga e finì in basso, senza vita. Si diede morte o la ebbe per uno sciagurato inciampo del destino? Molti commentatori propendono per la prima soluzione, ma non manca chi subito affermò il contrario. Ebbene, in questo equivoco (in questa domanda) Kaczorowski ravvede il nodo centrale del rapporto fra la vita e il romanzo in Hrabal. E non ha torto.

Perché l’opera di Hrabal è piena di personaggi che si danno morte, ma questo non basta a motivare un suicidio. Per di più, lo scrittore fino a quel giorno di dieci anni fa non aveva manifestato in modo chiaro alcuna intenzione suicida. Il problema è un altro.

E Kaczorowski lo incentra proprio sulla necessità di costruire una letteratura fortemente radicata nella realtà, sia pure con gli strumenti fantastici (quasi da leggenda) tipici degli intrecci di Hrabal. Ossia: lo scrittore ceco aveva una prepotente necessità di “testimoniare”, di collegare la sua esperienza di scrittore al suo tempo, all’avventura sociale e politica della Boemia del suo tempo. E, volendo mantenere intatta nelle sue opere la società, non gli rimaneva che ricamare sulla vita di personaggi reali: sé e la sua famiglia. Fu un modo, questo, per rovesciare il realismo in voga (perché indotto con la forza) nel mondo d’influenza sovietica dello scorso secolo: un atto di ribellione come a dire “accetto il realismo che mi imponete, ma ve lo rovescio contro”.

Un’operazione sommamente letteraria ma anche sommamente politica. Del resto, un atteggiamento del genere è comprensibile solo nel contesto della cultura (e della società) ceca dello scorso secolo. Lì il socialismo fu all’inizio un’autentica aspirazione di popolo; solo in un secondo momento venne assorbito nella tirannide sovietica. E quando popolo e intellettuali cechi vollero combattere con forza e di petto quella tirannia, lo fecero pur sempre nel nome del socialismo.

Proprio come fece Hrabal, usando il “suo” realismo contro il realismo sovietico. E così, i suoi romanzi – alcuni titoli su tutti: Treni strettamente sorvegliati, Una solitudine troppo rumorosa, Ho servito il re d’Inghilterra, ma anche il fantasmagorico Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare – sono pieni di luoghi e personaggi reali della vita dello scrittore. Ma pure propendono all’iperbole, alla venatura fantastica. Che è una vena dolorosa, nella tradizione ceca, fin dei tempi di Kafka e Hayek, e testimonia malessere interiore o disperazione, non gaiezza o ricchezza di fantasia, come in altri ambiti letterari (il solito García Márquez, per esempio). E’ un mondo vero ma fantastico dove lo scrittore si preoccupa di limare i confini tra realtà e fantasia: questo è per lui la letteratura.

D’altra parte, come racconta con molta perizia Kaczorowski, Hrabal era un po’ un predestinato a questa funzione: tanto che ancora oggi non sappiamo, per esempio, chi ne fosse il vero padre e quale rapporto dovette avere con questa circostanza. Kaczorowski poi insiste molto sul caso straordinario dell’incontro fra lo scrittore e una presunta sorellastra comparsa sul suo orizzonte solo negli anni Settanta: anche questo è un episodio vero ma letterario. Uno spazio reale nel quale il surrealismo prende il sopravvento. E infatti il surrealismo ebbe un peso significativo nella formazione letteraria di Hrabal. Insomma, accostandosi a uno scrittore del genere – anche con l’ausilio di un saggio biografico come questo – non bisogna mai dimenticare il contesto socio-politico perché è all’interno di esso che la figura di Hrabal assume un peso notevole. Finanche con l’ultima sua “opera”, verrebbe da dire, quale fu il suo dissimulato suicidio.