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Valerij Brjusov, L'angelo di fuoco

Autore: Alessandra Iadicicco
Testata: Il Foglio
Data: 31 marzo 2007

Poiché a rigore e alla lettera le scienze occulte, le verità recondite, gli arcani della magia e il contenuto dei misteri devon restare celati e inesplicati, il prudente cronista cinquecentesco che, protagonista e testimone oculare di eventi prodigiosi, con la sua “Narrazione veridica” fornì a Valerij Brjusov (1873-1924) la sostanza del romanzo, ne affida un’accennata pronuncia alla battuta del più scostante e meno credibile dei maestri. E’ Cornelio Agrippa al quale, non fosse stato tanto duro d’orecchi, sarebbe suonato come un lazzo l’appellativo “Magister doctissime!”con cui gli si rivolgevano i discepoli quando, ringhioso cinquantenne, la beretta calcata sulla testa, si presentava loro nel buio del suo gabinetto tagliato da una gotica feritoia e gremito di leggii, bestie impagliate e clessidre. “Bisogna solo ricordare che tutto si volge attorno a un unico punto”, tuonava il mago nel suo antro controvoglia. E proseguiva, eco del fantasma di uno stregone da commedia più che dello spirito magno di un sapiente: “Tutto è connesso assieme: stelle, angeli, uomini, fiere, erbe!”. Gli allievi non tanto (“Non credevamo proprio che credesse ancora alla magia”), ma l’avventizio uditore lo prende in parola.

In fondo Ruprecht era andato a scovare Agrippa di Nettesheim nella sua tana proprio per farsi dire dall’autore del “De occulta philosophia” come ricomporre i casi scombinati in cui da qualche tempo s’era visto sbalestrato. I complicati legami causa-effetto si erano spezzati, come la sua vita, irreversibilmente in un prima e in un dopo, dopo l’incontro con la maliosa Renata: “la dama bellissima”, “la dama folle”, la dama nobile e incomprensibile. E il giovane, preso in altra rete da lei, non comprendeva più come ritesserli e riavvolgerli “nei cerchi ruotanti di Lullo”: il logico duecentesco inventore di strumenti per elaborare i nessi con le equazioni dell’algebra e le determinazioni della meccanica che era stato tra le guide della sua “in nessun modo brillante istruzione”. Poco male.

Ci volle un niente per accendere la sua mente come un tizzone, incendiare le polveri della sua cultura libresca e infiammare, per folgorazione, l’animo e il cuore del ragazzo: col colpo d’ala di un angelo di fuoco. Conflagrante è l’effetto dell’entrata in scena del messaggero celeste. Era planato con l’aura fatata di un compagno di giochi nella cameretta di Renata bambina, che lo prese con sé come “una farfalla, una scintilla, un fiore colto, una nocella schiacciata coi denti”, lo mise tra le sue bambole e gli diede il nome di Madiele.

Poi, rimbalzato su lei che, cresciuta e tanto più incantata dall’amico alato, smaniava farne un giocattolo altrimenti eccitante, era piombato addosso a Ruprecht. Lo prese letteralmente alle spalle: nella stanzetta d’albergo, “stretta e irregolare come la custodia d’una viola” dove il lanzichenecco reduce dal Sacco di Roma, il navigante riapprodato sul Vecchio Continente dalla Nuova Spagna (il Messico), il pellegrino votato agli auspici di Santa Gertrude “patrona dei viaggiatori di terra”, sostava incamminato verso la casa paterna in Renania. Approfittò, anzi, di un attimo di distrazione dalla saggezza del proverbio per cui “il viandante ha già troppi guai con la sua schiena per occuparsi delle spalle altrui” e lo allacciò con la sua aureola incandescente e l’anello di fuoco della passione alla sorte della vicina di camera che attraverso la parete sussurrava in angelica possessione.

Una volta saldato il cerchio magico, a trasfigurare gli spigoli del classico triangolo amoroso, le ruote algebriche di Lullo potevano andare a farsi benedire. E se il vertice della figura à trois sfiorava le altezze dell’empireo, l’intrigante, intricatissimo menage poteva svolgersi e riavvolgersi “sulle spire di un plurianellato drago”. A condurlo non era uno sputafuoco, ma comunque un fantastico volatore: dotato della temperatura ideale per fondere in un unico crogiolo evocazioni storiche, confessioni religiose, suggestioni magiche, parodie filosofiche, calchi pseudoscientifici. Le rivelazioni dei credo in lotta aperta e le malcelate tentazioni dell’occulto. L’amore casto e asessuato degli angeli e l’attrazione irresistibile dell’algofilia (grecismo per dire sadomaso).

C’è questo e altro nel miracoloso capolavoro del decadentista russo che seppe calare sulle figure storiche la maschera degli eroi rivoltosi o la visiera dei condottieri da leggenda. Sfigurare il profilo dei dotti nella smorfia di diaboliche caricature: e lo spirito invasato di Agrippa zampetta nel suo studiolo come il lepido Mefistofele ghignante accanto a Faust. Camuffare le ali d’un angelo sotto il blasone d’un conte di Germania e sublimare i propri amori segreti. Traslare le citazioni ultraerudite nei motti goliardici, i conversari da bettola, le canzonacce d’osteria. Dispiegare il suo affresco su un’accecante tela policroma: intessuta d’un simbolismo fittissimo, velata di umorismo brillante e attraversata dal filo tenace un nitido disegno narrativo. A mostrare in un mezzo migliaio di pagine quel che stizzito ammetteva il signor Trippa: gira e rigira, sul volo planato di un angelo, in fondo tutto quanto si tiene.