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Schmitt, storie femminili nate dal cinema

Autore: Fulvio Panzeri
Testata: Avvenire
Data: 5 maggio 2007

L'ultimo libro di Eric-Emmanuel Schmitt è sorprendente per la leggerezza dei toni che usa nel raccontare storie di donne alle prese con una felicità apparente, quella che viene imposta dal mondo esterno, dalla maschera che noi comunichiamo agli altri. Sono storie nate per caso, durante la lavorazione del primo film di Schmitt, apprezzato autore di testi teatrali, rappresentati in tutta Europa, che sarà tra poco sugli schermi italiani e che racconta proprio una di queste storie, quella di Odette Toulemonde, vedova timida, che vive nel grigiore della sua esistenza, circondata dal sostegno dei figli, fedele alla memoria del marito. Con una forma di felicità che ha ritrovato attraverso la lettura, quella dei romanzi di uno scrittore molto famoso. Un giorno riesce ad incontrarlo, mentre firma le dediche del suo ultimo romanzo, fatto a pezzi dalla critica che non gli perdona l'eccessivo successo presso i lettori. Odette non sa niente di queste baruffe editoriali, stravede per lui, per quella visione dei sentimenti positivi che gli regala. Quando gli è davanti non riesce a pronunciare il suo nome. Da quella dedica mancata o lasciata a metà si sviluppa il racconto di cui non riveliamo il finale, perché in queste otto storie, la capacità narrativa di Schmitt si misura proprio attraverso lo scatto finale, quella beffa del destino che cancella, a volte grottescamente, a volte dolorosamente, a volte tragicamente, l'apparenza di questa nostra idea falsata di felicità contemporanea.

Mentre stava realizzando il film, gli era stato negato come racconta l'autore nella postfazione, per contratto, la possibilità di scrivere libri. Però durante il montaggio nelle rare ore libere, inizia a scrivere, tanto che Schmitt sottolinea: «Questo libro rientra nel campo della scrittura proibita». «Non solo il film mi ha portato a comporre delle novelle, ma una volta finito, tanto per fare ancora una volta le cose all'inverso, ho deciso di trasformare il soggetto originale del film in un racconto».

Ne è uscito un libro felice, pieno di grazia, in cui ogni racconto, com'è spesso nella scrittura dell'autore francese assume i toni di una favola-apologo. Qui Schmitt si fa accompagnare dalle donne, a volte ricche da far paura, icone del jet set che ricordano le antiche miserie, altre di buona e agiata condizione sociale, incapaci di amare o di comprendere la natura dell'amore, la difficoltà della sua costruzione, altre ancora abbandonate al proprio destino, prigioniere in un gulag, che riescono a trovare attraverso una matita e tre fogli di carta la possibilità di scrivere.

Commesse e milardiarie, misteriose principesse scalze, anziane malate ci accompagnano in questo che diventa un "dizionario" in forma di racconto sulla finzione dell'apparenza per giungere alla vera cognizione di quel sentimento che è valore assoluto e non effimero.