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Intervista a Tersite Rossi

Autore: Massimo Minimo
Testata: Thrillerpages
Data: 16 ottobre 2012

Diamo il benvenuto su Thrillerpages a Tersite Rossi e mettiamo il video consigliato da loro da ascoltare come sottofondo all'intervista. Ma ora diamo la parola all'intervistatore, Massimo Minimo.

Per quei pochi che ancora non lo sapessero, chi è, o meglio chi sono, Tersite Rossi? E da dove viene questo nome d’arte?

Tersite Rossi è lo psedudonimo di un duo di scrittori, Marco Niro, giornalista, e Mattia Maistri, insegnante. I nostri nomi di battesimo, però, oltre ad avere il difetto di appartenere a due illustri sconosciuti, hanno anche quello di contenere troppe troppe “emme” ed “enne” ed essere troppo cacofonici per risultare digeribili da un ipotetico pubblico. Così, abbiamo optato per uno pseudonimo. Tersite è un personaggio dell’Iliade di Omero cui ci sentiamo talmente vicini da vederlo come l’incarnazione del nostro manifesto letterario: un guerriero brutto, zoppo e gobbo, che a un certo punto, durante la guerra di Troia, invita gli altri guerrieri a disertare, opponendosi a un conflitto il cui bottino sarebbe stato spartito da altri; un antieroe che, col suo atteggiamento di scherno e irriverenza, è emblema di chi non si limita ad andare controcorrente, ma perde e finisce per questo dimenticato. Rossi, invece, è il cognome più diffuso in Italia, da noi scelto per compensare la vetustà di Tersite ed anche per mettere in rilievo quella vena popolare che, nonostante tutto, ci contraddistingue.

Ci raccontate come vi siete incontrati e come è nata l’idea di scrivere a quattro mani?

Marco aveva scritto un saggio di critica del giornalismo (“Verità e informazione”, Dedalo 2005), che non aveva letto quasi nessuno. Tra i pochi coraggiosi vi era stato Mattia, che, in seguito, volendo organizzare un corso di giornalismo per giovani, aveva deciso di chiedere proprio a Marco di fare da docente. Era il 2006. La proposta si scrivere un romanzo in due arrivò l’anno dopo. Era estate. Mattia, anziché andare a prendere il sole al lago o il fresco in montagna, se ne stava seduto a una scrivania, a meditare su una vecchia idea: quella di lavorare al vecchio soggetto di un romanzo che da tempo s’impolverava dentro un cassetto della sua mente. Se da solo finora non mi ci sono mai messo, si disse, forse insieme a qualcun altro posso riuscirci. E così lo propose a Marco. Il quale inizialmente ritenne folle l’idea, e l’ignorò. Ma Mattia seppe insistere, e così alla fine il sodalizio letterario ebbe inizio. E quel soggetto si trasformò in un romanzo, “È già sera, tutto è finito”, edito da Pendragon nel 2010.

A tal proposito, come organizzate il vostro lavoro quando create un romanzo? Vi dividete i compiti o che altro?

Assieme sviluppiamo il soggetto e la scaletta del romanzo, che nascono da lunghe chiacchierate a ruota (e mente) libera. Poi ciascuno prende in carico determinate parti, in genere distribuite equamente. La scelta avviene in base a quanto ciascuno si ritiene più vicino a un certo personaggio o a una certa vicenda. Scriviamo rispettando la scaletta, tranne che per il finale, che di solito scriviamo prima. Il nostro punto di forza pensiamo sia quello che chiamiamo “palleggiamento”. Quando ciascuno ha finito di scrivere un suo capitolo, lo invia all’altro, che lo sottopone a un vero e proprio lavoro di editing, estremamente rigoroso, dopo il quale lo rimanda al mittente, che a sua volta effettua le sue contro-deduzioni. In pratica, facciamo, con risultati a volte sorprendenti, quello che normalmente uno scrittore fa soltanto dopo aver consegnato il manoscritto all’editore, nel momento in cui si confronta con l’editor della casa editrice.

Immagino che scrivere in due abbia i suoi pro ed i suoi contro. Ci sono mai stati momenti di forte discussione fra voi?

Certo! Lo chiamiamo “palleggiamento” anche per il suo esito: questo farsi le pulci a vicenda ha spesso come inevitabile conseguenza, come forse puoi immaginare, il vorticoso giramento di palle dell’uno o dell’altro, e a volte anche di entrambi. Ti raccontiamo un aneddoto. Stavamo scrivendo il nostro primo romanzo e una volta accadde che il “palleggiamento” di cui sopra terminò subito, perché il ricevente del capitolo, il più pignolo dei due, liquidò il lavoro dell’altro scrivendogli tre semplici parole: “È un disastro”. L’altro, il più permaloso dei due, reagì chiedendo un incontro faccia a faccia, al quale esordì con un cordiale “O lo teniamo così o vaffanculo!”. Poi il pignolo, che è anche un abile diplomatico, seppe ricucire il rapporto col permaloso, che è anche una persona estremamente ragionevole, e il romanzo fu salvo (per la cronaca, di quel capitolo alla fine non rimase alcuna traccia…)

Siete entrambi trentini. Quanto è stretto il legame con la vostra terra?

A dire il vero, entrambi viviamo in Trentino, ma solo uno di noi – Mattia – è nato lì. L’altro, Marco, è apolide: nato da genitori molisani a Casalmaggiore, in provincia di Cremona, ha studiato a Reggio Emilia e poi è emigrato in Trentino per motivi sentimentali. Questa nostra diversa discendenza ha inciso molto sulla nostra scrittura. Nel nostro primo romanzo, la vicenda del Gruppo è ambientata a Gazzolino, piccolo paese del Nordest vittima dell’inaridimento dei rapporti sociali dovuto alla cieca applicazione del motto “tasi e laora”, che in Trentino non abbisogna di traduzione. Mentre l’altro protagonista di quel romanzo, il giornalista Antonio Castellani, nasce in Molise da contadini poveri di denaro, ma non di spirito. In “Sinistri”, invece, il legame col territorio si stempera fino ad annullarsi, e questo non succede a caso: nel 2023 la furia omologatrice della felicità imposta per decreto non ammette differenze geografiche…

 
Passando a “Sinistri”, è un romanzo molto particolare nella struttura. Quale la sua genesi?

“Sinistri” nacque in una birreria il 26 dicembre 2008 come romanzo che si proponeva di raccontare il Novecento italiano e i suoi molteplici “tradimenti” attraverso dieci racconti, ambientati ciascuno in una decade diversa del secolo passato e scritti nell'irriverente rispetto dei diversi generi letterari: dall'horror all'erotico, dal grottesco al noir, dal satirico al sentimentale. Una volta scritti i racconti ci accorgemmo che, letti in fila uno dopo l'altro, ci proiettavano direttamente nel futuro, in mezzo al guado della Terza Repubblica italiana. A quel punto è stato naturale scrivere la cornice che racchiudesse i racconti e che fosse ambientata in un futuro prossimo: un futuro anestetizzato, governato con “mano tecnica” e ammantato dalla retorica fasulla e artificiosa della felicità a tutti i costi. Più che un futuro, un presente alle porte.

Domanda scontata: quanto siamo vicini all’Italia del 2023 descritta nel libro?

Purtroppo molto. Nel 2023 è al potere il Partito della Felicità, che guida una tecnocrazia dittatoriale che impone di trovare la felicità ad ogni costo, comprandola a buon mercato dentro gli “shops”, i nuovi templi del consumismo in cui i cittadini si accalcano prima che il coprifuoco scatti inesorabile alle ore 21. Detta così, sembrerebbe solo la fantasia – inquietante – di due scrittori pessimisti. Invece, a guardare bene, già oggi la democrazia è stata svuotata prima dalla videocrazia ed oggi dalla tecnocrazia, e l’unica libertà “socialmente accettata” è quella di consumare. E in effetti abbiamo voluto ambientare il nostro romanzo nel futuro proprio per disorientare il lettore: alle prime battute, può consolarsi pensando di avere tra le mani un semplice “fantasy”; ben presto, però, si accorge che il nostro 2023 non è altro che la proiezione caricaturale di quanto già oggi sta accadendo.

“Sinistri” fa parte della Collezione Sabot/age curata da Massimo Carlotto. Come siete entrati in contatto con lui?

Al termine della stesura del nostro primo romanzo “E' già sera, tutto è finito” ricevemmo il suggerimento da un nostro amico di inviare il manoscritto a Massimo Carlotto, di cui lui aveva un recapito. Nessuno avrebbe mai immaginato che Carlotto non solo si mettesse a leggere il nostro lavoro, ma che al termine della lettura ci scrivesse per complimentarsi con noi e per invitarci a non abbandonare la strada della scrittura, benché fossimo ancora privi di un editore. Poi l'editore di quel primo romanzo arrivò (Pedragon di Bologna) e da lì Tersite Rossi cominciò a farsi notare, a partire dal Salone del libro di Torino dove lo stesso Carlotto intervenne nel corso della nostra prima presentazione. Un anno dopo volle leggere il manoscritto del nuovo lavoro (quello che poi sarebbe diventato “Sinistri”) e rimase così ben impressionato da volerlo all'interno della Collezione Sabot-age delle Edizioni E/O, che lui stesso cura (con la moglie Colomba Rossi a dirigerla). Ed eccoci a oggi, orgogliosi dei passi fatti e degli apprezzamenti ricevuti da uno scrittore eccezionale quale è lui.

Il vostro primo romanzo, “E’ già sera, tutto è finito” (al quale sono, personalmente, molto affezionato), ha ispirato uno spettacolo musical-letterario. Lo stesso sta accadendo con “Sinistri”. Quanto è importante la musica per voi?

Moltissimo. E non solo perché, a valle, risulta spesso più efficace delle parole nella presentazione dei nostri lavori. Ma soprattutto perché, a monte, ci accompagna nella stesura dei nostri testi. Oltretutto, abbiamo gusti musicali anche molto diversi. Uno di noi è più incline al cantautorato, meglio se popolare, l’altro è più eclettico, forse più elitario. E così nei nostri romanzi e nei nostri spettacoli il pubblico può trovare Francesco Guccini insieme a Leonard Cohen, Rino Gaetano insieme ad Astor Piazzolla, i Modena City Ramblers insieme ai Kraftwerk.

Per restare in tema, scegliete un brano che accompagni quest’intervista. Per non scatenare una rissa, potete indicarne anche uno a testa, ve lo concediamo.

“Carnival” di Roberto Vecchioni (Mattia).
“Galvanize” dei Chemical Brothers (Marco).

Last but non least, a quando il prossimo libro?

Non abbiamo ancora fissato una scadenza. L’unica cosa certa è che c’è un soggetto forte, cui crediamo molto, sintesi dei due precedenti romanzi, completamento – perdonateci l’espressione abusata e modaiola – di una sorta di trilogia dell’antieroismo. Ma lavorarci richiede tempo. E la tua domanda ci offre l’occasione per un piccolo sfogo. Le attuali logiche del mercato editoriale impongono ad uno scrittore di scrivere come un forsennato e di buttare fuori almeno un testo all’anno, per tenere in vita il nome dell’autore visto che quello del singolo romanzo dopo tre mesi rischia di essere già dimenticato, spazzato via dagli scaffali per far posto ai prossimi. Noi respingiamo questa dinamica. Per carità, ci sono bravi colleghi che riescono a scrivere un libro all’anno salvaguardando la qualità, ma sono la minoranza. Tersite Rossi ha bisogno di sporcarsi le mani di terra e di polvere, prima di iniziare a scrivere. E adesso è questo che stiamo facendo. 

Grazie per l'intervista Tersite Rossi, alla prossima!