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Quel padre scomparso di Lia Levi

Autore: Leonardo Franchini
Testata: L'Adige
Data: 3 novembre 2012

Se uno guarda Lia Levi, che ha scritto una trentina di libri per bambini ed alcuni titoli per lettori di ogni età, capisce perché il suo romanzo più noto sia intitolato «Una bambina e basta». I suoi occhi sono quelli di una bambina, che guarda fiduciosa il mondo, dal quale è ricambiata in malo modo. Ma non perde del tutto la sua gioia di esistere. Lia Levi è una importante scrittrice italiana, padrona di una lingua accurata e di una felicità narrativa molto rara. Difficile dire se scriva di getto, ma di sicuro le sue pagine si leggono con il fiato sospeso, anche se non si tratta di thriller. Per quanto sia possibile non considerare «thriller» la vita normale quando è sull'orlo dell'insicurezza, della paura. Perché Lia Levi è ebrea, come Primo, come Carlo - scrittori italiani. E l'ebraismo è una delle sue qualità, che non la fa meno italiana, anzi. L'Italia è sempre nominata nei suoi libri come la patria. Una patria matrigna, che non l'ha difesa, né lei né altri come lei, dalla stupida e crudele ferocia di un regime. Ora è uscito un altro libro, «La notte dell'oblio», che racconta un diverso brano della storia di quella bambina; ora più grande, in cerca di sopravvivenza nella prima parte, e poi di tornare ad una vita normale. Ci sono la madre Elsa, le figlie Milena e Dora ed una nonna lontana, Helene. Il padre, Giacomo, è il filo rosso della storia, un personaggio che si vorrebbe ritrovare, che il lettore spera ricompaia sano e salvo; forse è proprio l'attesa della sua sorte a tenere viva l'attenzione, che fa correre da una pagina all'altra. Sono brani che parlano di tragedie, di ingiustizie, di infelici coincidenze. La narrazione, tuttavia, non è mai violenta, dura: la bambina non vuole, non può cessare di credere ad una umanità nella quale ci sia un posto per tutti, sereno, che abbia rispetto e accetti serenamente le variazioni: perché una religione non può e non deve costituire una diversità, ma semplicemente un altro punto di vista sulla vita, una eredità che ciascuno ha ricevuto come viatico per affrontare le incomprensibili malvagità dell'esistenza. La storia di questa famiglia si sviluppa dalla prima fuga, verso una zona meno pericolosa, e poi verso la ricerca di una faticosa normalità, subendo ingiustizie e tradimenti, affrontando difficoltà ma ignorando un fantasma, la Shoah. Non se ne parla, in casa, come se fosse una cosa sconveniente: dovranno scoprire, le figlie, un po' alla volta, una verità che improvvisamente è stata oscurata, che si è tentato di cancellare. Non solo in Italia, dove il falso mito del «da noi non c'è stato quasi niente» ha resistito per anni (dimenticando che anche un solo perseguitato rappresenta il mondo, «ogni lacrima versata è più profonda dell'oceano»), ma anche nel resto d'Europa, se si è sentita solo nel 2000 la necessità di stabilire un «Giorno della Memoria», dopo cinquantacinque anni dalla tragedia. Un'Europa sorda e cieca, come si dice con amara disillusione nel libro, che non ha sentito la necessità di dare scampo a milioni di perseguitati da Adolf Hitler, che probabilmente di sarebbe accontentato di liberarsi degli ebrei e degli altri «nemici», se qualche nazione li avesse accolti. Ma così non è stato, ed allora sono necessari questi libri per mettere i lettori di fronte alle responsabilità nazionali; sebbene ci sia l'impressione che la Storia sia il più fallimentare dei maestri di vita, e che nessuno abbia mai imparato nulla dal passato. Così del libro resta solo il fascino di una storia, le pagine piene di poesia - dolente e sconfitta, ma sempre piene degli occhi fiduciosi di quella bambina - per ricordarci tutte le sofferenze che l'essere umano può incontrare. Una storia da leggere non per commuoversi - la commozione potrebbe essere un modo facile per scaricare la coscienza - ma per condolersi, nel significato più pieno del verbo, prendere parte al dolore degli altri, mettersi nell'anima un brandello di quella vicenda e confrontarla con la propria, assimilarla. Un libro da rileggere, ogni tanto, perché il suo messaggio non è mai di chiusura, di condanna, di vendetta; c'è luce, c'è vita nelle pagine, tanto che, fino alla fine si spera che Giacomo - il padre tradito e «portato via», possa ricomparire, per consolarci. Non lo farà, ma forse rinasce nel cuore delle figlie e dei lettori.