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Intervista a Roberto Riccardi

Autore: Aniello Troiano
Testata: Fralerighe
Data: 15 dicembre 2012

Ciao Roberto, benvenuto su Fralerighe. Ciao, grazie, ben trovate le vostre righe!

1) Presentati ai nostri lettori. Chi sei, cosa fai nella vita, perché scrivi?
Una cosa tipo interrogatorio? Bene, fa molto… undercover! Allora… Nome: Roberto Riccardi. Età: 46 anni. Origine: Bari. Residenza: Roma. Lavoro: ufficiale dell'Arma. Passione: scrivere. Perché scrivo? Perché è una passione, appunto, l'avevo fin da bambino. Scrivevo poesie, racconti, perfino favole e canzoni.

2) Com'è nata l'idea per Undercover?
Nasce dalla mia vita. Nel periodo in cui dirigevo la sezione antidroga di Roma ho svolto indagini come quella raccontata nel romanzo. In qualche modo, così, l'ho rivissuta.

3) Com'è stato scrivere questo romanzo? Hai incontrato qualche difficoltà?
No, per il motivo che dicevo, nelle pagine c'è la mia vita. Naturalmente articolare una trama, con una sua "architettura" che preveda ritmo, avvenimenti, colpi di scena, non è la cosa più semplice del mondo. Ci vogliono un po' di esperienza, di mestiere, d'impegno. Come in qualunque altra attività.

4) Vuoi raccontarci un aneddoto legato alla scrittura del romanzo e uno legato al tuo lavoro?
Mi sono divertito molto scrivendo i primi capitoli, quando Rocco Liguori svolge il corso per undercover, arresta un corriere nigeriano in aeroporto, fa desistere un ex partigiano da propositi suicidi… Lì ridevo da solo, ricordando episodi e personaggi. Di aneddoti legati al mio lavoro ce ne sarebbero tanti, ne racconto uno molto ingenuo. Avevo da poco intrapreso il primo incarico operativo, avevo 22 anni e lavoravo in un paese siciliano, Carini. Un giorno sequestrammo 60 chili di marijuana e arrestammo alcune persone. Ero convinto che per un po' nessuno in paese avrebbe comprato droga, invece la stessa sera vidi un ragazzo che fumava uno spinello. Fu per me una grande delusione. Ero inesperto, appunto…

5) Il percorso che ti ha portato a pubblicare, com'è stato?
Pubblicare con buone case editrici, oggi in Italia, non è -come si diceuna passeggiata di salute. Bisogna costruirsi un curriculum, imparare a proporre bene le storie, a scrivere cose che siano in linea con ciò che l'editoria e i lettori richiedono. Devo dire grazie a Colomba Rossi, direttore della collana Sabot/age in cui Undercover è inserito, per avermi dato il tempo di esporle il mio progetto e la disponibilità ad accoglierlo.

6) Ci racconti un episodio particolare legato all'editing? E uno legato alle presentazioni?
Anche riguardo all'editing la mia risposta è un grazie. Va a Claudio Ceciarelli, l'editor della narrativa italiana di e/o. Con lui sono entrato subito in sintonia. Io avevo scritto una storia piuttosto ritmata, senza troppi fronzoli. Grazie al suo lavoro è diventata ancora più veloce, crescendo molto. Le presentazioni sono per me fra i momenti più belli dell'avventura letteraria. Giorni fa a Bari un medico mi ha raccontato di aver letto il mio libro tutto d'un fiato, dal pomeriggio alla notte, senza riuscire a staccarsi. Scherzando gli ho detto: "non vale, io per scriverlo ci ho messo un anno!" Sono cose così che ti danno la carica…

7) Ho visto che hai pubblicato già diversi altri romanzi. Che ci dici al riguardo?
Che ogni libro ha una sua storia. Due riguardano la Shoah e risalgono al mio incontro con Alberto Sed, un ex deportato. Altri due, usciti nel Giallo Mondadori, derivano dalle mie prime esperienze lavorative in Sicilia. Sono pezzi della mia vita, dal primo all'ultimo, e li amo tutti allo stesso modo.

8) Con questi romanzi hai avuto modo di vivere il mondo legato ai libri. Che ne pensi?
Il mio giudizio è nel complesso positivo. È un bell'ambiente, in cui creatività e cultura sono gli aspetti centrali, le cose di cui si parla. Naturalmente ci sono gli effetti collaterali, il primo problema è ritagliarsi uno spazio a fronte di continue nuove uscite e di librerie che traboccano di romanzi provenienti da ogni epoca e da ogni parte del mondo. E poi ci sono altre endemiche questioni: nei media gli spazi riservati alla cultura sono angusti, in giro non c'è moltissima gente che legge, e così via. Insomma: i problemi sono tanti, ma… esiste forse una medaglia che non abbia un suo rovescio?

9) E adesso, un paio di domande legate ai contenuti del romanzo. Facendo finta che tutto sia possibile, cosa credi che servirebbe per debellare la criminalità organizzata e il narcotraffico?
Come la domanda premette, non è possibile pensare di debellare il crimine, sarebbe come voler eliminare il male dall'uomo. Per quanto riguarda il crimine organizzato, le "mafie", un obiettivo alla portata è svolgere un'efficace azione di contrasto, mostrando ai tanti che sanno e non collaborano per paura che esse non sono invincibili, che i latitanti non sono imprendibili, ecc. ecc. La questione del narcotraffico è ancora più complessa: lì se non c'è un'azione comune internazionale, che consenta di aggredire la produzione delle droghe, non si ottengono e non si otterranno mai risultati significativi.

10) Credi che le organizzazioni criminali temano la circolazione di informazioni sul loro conto o che siano tutto sommato indifferenti?
L'eccessiva notorietà non fa mai bene agli affari, lo hanno imparato a loro spese molti cartelli globali e, per fare un esempio vicino a noi, Cosa Nostra siciliana, colpita duramente dopo aver voluto la stagione delle stragi. Per questo motivo le organizzazioni criminali non sono indifferenti alla circolazione di notizie sul loro conto, e per lo stesso motivo fa bene parlarne.