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Il cielo è dei potenti

Autore: Ariberto Terragni
Testata: Reader's Bench
Data: 25 gennaio 2013

E' una storia italiana quella di Claudio Bucci. Provinciale, piccola borghesia. Padre avvocato squattrinato, madre tiranna. Una precoce vocazione religiosa poi persa lungo la strada, gli studi, l'esperienza politica. E una decisione: io non farò la fine di mio padre.


Il romanzo di Alessandra Fiori parte da un retroterra preciso e semplice al tempo stesso: quello dell'Italia affamata e ambiziosa del secondo dopoguerra, di cui il protagonista di questo romanzo – Il cielo è dei potenti, edito da e/o – è uno dei figli. La lunga confessione in prima persona del protagonista è una cavalcata attraverso sogni e illusioni di un'Italietta d'assalto, che vede nella politica un'arma di riscatto e di affermazione, la via privilegiata per ottenere la suprema forma del godimento: il potere.

Claudio Bucci lo sa bene. Non c'è un passo della sua vita che non sia frutto di un calcolo: per ottenere questo devo fare questo, per ingraziarmi Tizio devo prima passare da Caio, e così via, in un crescendo di trame e controtrame che disegnano un ritratto impietoso e diretto di un paese intero e della sua classe dirigente.

A modo suo è anche un duro, il Bucci: corre a destra e a manca nel suo Lazio per accaparrare voti, rincorrere potenti, raggranellare la simpatia dei capibastone; spesso è una corsa contro il tempo e uno spreco di amor proprio, tra una “trombata” elettorale e l'altra, una bugia e un compromesso, ma qualcosa si muove, e lui è sempre lì, capace di fiutare il segno dei tempi e di rialzarsi dopo ogni batosta.

Lungo questo vorticoso e spregiudicato percorso politico/esistenziale si affacciano le figure che hanno per davvero costellato il cielo dei potenti durante la Prima Repubblica: impossibile non rintracciare il Divo Giulio Andreotti dietro la ieratica e sorniona figura di De Santis, oppure la spontanea volgarità di uno Sbardella, le regie occulte di Licio Gelli. Il Partito a cui si fa riferimento è naturalmente la Dc, senza bisogno di troppe esegesi.

Claudio Bucci non si fa mancare niente: matrimonio, tradimenti, bella vita romana, figli cresciuti un po' così. La sua carriera è tutta un saliscendi affannoso, dove l'unica, vera preoccupazione è sempre quella di garantirsi una poltrona o un numero sufficiente di preferenze: non c'è passione nella vita di questo provinciale maniaco di se stesso, ma solo smania, voglia di emergere a dispetto di tutto e di tutti.

Scampa ai trabocchetti degli amici di partito, alle Brigate Rosse e alla prima tornata di Tangentopoli, riesce ad assaporare il profumo di un ministero tutto suo, salvo poi cadere sotto la mannaja degli avvisi di garanzia, nel 1994, quando la sua ultima spiaggia politica risponde al nome di Moroni, imprenditore del nord inventatosi presidente del Consiglio per salvarsi le aziende.

Il romanzo di Alessandra Fiori si offre come spaccato non autorizzato di un pezzo della nostra storia recente: qua e là cinico, sboccato, crudo nel riferire il vero movente di tanta politica di casa nostra: la volontà di potere. Altro che ideali, altro che programmi. La vera politica si fa in cucina, con i palazzinari, i compari del contado, all'occorrenza con la criminalità.

Bucci non è uno dei peggiori, è vero, ma è uomo di sistema il cui unico pensiero è quello di continuare ad essere nel sistema, senza un programma, senza un progetto: esserci. E per esserci, è disposto a tutto, o quasi.

La tentazione di intravedere un collegamento tra la vicenda biografica dell'autrice (figlia di Publio Fiori, uomo Dc, vittima per davvero di un attentato delle Br) e la trama del libro resta sullo sfondo, ma poco ha a che vedere con la materia del romanzo, che è di per sé densa e magmatica, come quel nodo ambiguo che sta alla base di tanta storia italiana, dove verità e menzogna, virtù e dannazione sono il nuance necessario per provare a capire i meccanismi di un intero sistema di potere.

Scelta coraggiosa quella di raccontare la storia in prima persona. La voce femminile dell'autrice si presta a dare corpo e sostanza ad un universo molto maschile, dove maschili sono le debolezze, le pulsioni e in qualche modo la visione complessiva del mondo e dei suoi anfratti risente di un'impostazione fallocratica, tutto sommato irresponsabile di fronte alle conseguenze.

Così “fottere” gli altri non è mai un vero problema e brigare con chiunque pur di emergere è una qualità. Siamo di fronte ad un romanzo, non ad un istant book, e ad un romanzo ben congegnato, scorrevole, interessante; peccato per certi passaggi psicologici un po' trascurati (il rapporto conflittuale con la madre, per esempio) e in generale per una progressione temporale fin troppo rigorosa, al limite dello scontato.

Ma siamo dichiaratamente davanti ad una scrittura giornalistica più che narrativa in senso stretto; una scrittura molto efficace ma ingabbiata in uno schema: godibile e consigliabile ma debole quando si tratta di raggiungere una dimensione formale e stilistica veramente letteraria. Un risultato voluto? Può essere. Parte della forza d'urto del libro sta proprio nell'offrirsi come lettura agile, in perfetta sintonia con i ritmi e le esigenze di fruizione del mercato odierno: un'impeccabile confezione contemporanea.