La scrittrice Viola Di Grado torna in libreria con il suo secondo romanzo "Cuore Cavo" edito da Edizioni e/o. Vincitrice a soli 24 anni del Premio Campiello Opera Prima con il libro Settanta acrilico trenta lana, Viola conferma il suo talento dalla "penna nuda e cruda", raccontando la storia di un suicidio visto dalla parte della protagonista. Come in un “sogno sciamanico”...
Com’è nata la storia raccontata in Cuore cavo e cosa c’è di te nella protagonista del tuo nuovo romanzo?
È nata su un aereo da Londra, guardando la forma delle nuvole. Qualche giorno dopo ho fatto un sogno: lo scrittore è uno sciamano, e come lo sciamano io faccio un “sogno sciamanico” quando sono pronta per diventare lo strumento attraverso cui far parlare altre persone. Ho sognato una bambina coperta di terra che mi osservava da dietro una porta a vetri. Non volevo farla entrare, perché lei "rubava le vite degli altri". Una strega mi rispondeva che non importava se la facevo entrare o no, perché lei "non ha bisogno delle porte". Lei infatti entrava attraversando la porta e rubava tutti i miei oggetti. Gli oggetti sono i miei “oggetti interni”, gli strumenti cioè attraverso cui raccontare la sua storia: il sogno ogni volta illumina frecce direzionali nel mio inconscio, traccia una mappa del romanzo.
Cosa c'è di te nel tuo personaggio?
Cosa c’è di me in lei? Siamo molto diverse sia come persone che nelle nostre esperienze, ed è diversa anche da Camelia la protagonista del mio primo romanzo, ma in una cosa siamo affini: siamo entrambe estreme, non portate per le vie di mezzo né per i compromessi. Procediamo a occhi sempre aperti attraverso le fiamme, con il rischio di andare a fuoco. Ma lei al contrario di me ha dei confini molto labili, passa continuamente da una materia all’altra: da bambina, sente il suo corpo in crescita incorporato alla stanza in cui vive che si deteriora. Poi nelle foto di sua madre il suo corpo sfuma nella parete, non si distingue da essa. E infine, da morta, il suo corpo è privo di materia quindi passa da una materia all’altra. È eccessivamente fluida, m’interessava riflettere sulla fluidità dell’identità: cos’è l’io e quali sono i suoi confini? Presto farò un dottorato in Buddhismo e la definizione dell’io-da cosa è composto o lo crediamo composto, dove inizia e dove finisce, come si perde - mi interessa molto.
Vincere il Premio Campiello Opera Prima è un onore ma anche un onere: ne hai sentito il peso durante la scrittura di Cuore cavo?
No: sono comunque sempre stata estremamente severa con me stessa. È il mio esame la cosa più difficile. Da sempre.
Cos’è cambiato nella stesura del tuo secondo lavoro rispetto al primo?
Nulla.
Hai un metodo di scrittura o scrivi d’istinto?
La prima parte è molto istintiva, c’è il sogno. Scrivo sempre in modo molto disordinato, per scene, e solo dopo arriva la parte matematica: riflettere, tagliare, modificare, mettere in ordine, insomma un’opera di taglio e cucito.
Qual è il libro che ha fatto nascere la tua passione per la scrittura?
Non c’è. La mia non è una passione, è un modo istintivo e innato di interagire con me stessa e con la realtà. Non ho mai deciso di scrivere o “amato” scrivere: non si “ama” respirare, non lo si decide. Io scrivo sempre, anche quando non scrivo: la narrazione, nella mia testa, non si ferma. E’ molto faticoso.
Qual è la domanda che durante le presentazioni e gli incontri con i tuoi lettori ha colpito la tua attenzione?
Ce ne sono state di stupende, c’è tantissima gente a cui Settanta Acrilico è entrato dentro in modi molto belli ed importanti, ma purtroppo dimentico tutto. Però mi è rimasto impresso ad esempio l’entusiasmo di una classe elementare in un paesino dell’India, con cui ho avuto il piacere di parlare in una conferenza via Skype. Continuavano a scrivermi cuoricini e chiedermi quand’è che scriverò un libro per bambini. È stato molto bello.
La domanda più difficile a cui rispondere?
Sei un essere umano?
Hai già in mente (o nel cassetto) una nuova storia?
Sì, tante.