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Elena Ferrante, L'amica geniale volume secondo

Autore: Andra Bottalico
Testata: Napoli Monitor
Data: 27 febbraio 2013

Già parlammo in un numero passato del primo romanzo del ciclo de L’amica geniale di Elena Ferrante. Nel secondo volume (La storia del nuovo cognome, edizioni e/o) Lila ed Elena sono diventate donne a sedici anni: Lila, sposata con Stefano Carracci, il figlio di don Achille lo strozzino, diventata la “signora Carracci”, è odiata per la sua ostinata insubordinazione; Elena invece, la figlia dell’usciere, continuerà a studiare con l’intenzione di abbandonare il rione. In queste pagine troviamo la narrazione di un intreccio di vicende che si sviluppano nell’arco di una generazione.

I protagonisti appartengono a un’umanità riconducibile alla città e alla sua popolazione, ma non è tutto. Elena Ferrante ci parla di Napoli, del sud, dell’Italia, dell’avvento della modernità, della subordinazione della donna. L’autrice restituisce l’immagine della separazione tra ricchezza e povertà in senso lato, una discrepanza antropologica che emerge nel racconto, dal modo di usare il dialetto e la lingua italiana, dalla coscienza intellettuale di un Nino Sarratore o della professoressa Galiani, incarnazioni di quella borghesia illuminata in confronto all’umanità che vive nel rione. Quasi tutti i personaggi, con le loro famiglie, affondano le radici in questo luogo non bene identificato rispetto alle altre zone della città.

Le due amiche sono le protagoniste indiscusse del romanzo, almeno a prima vista, poiché sembra quasi che la Ferrante ci stia parlando di qualcos’altro che si nasconde dietro la contrapposizione di queste due personalità. Lila ed Elena: due caratteri dipendenti l’uno dall’altro, che si confrontano e si scontrano, che si osservano e si condizionano reciprocamente. Metafore di due universi costretti a ruotare sulla stessa orbita, per poi allontanarsi, ognuna in direzione del proprio destino, e riavvicinarsi riscoprendosi diverse, nonostante l’origine comune.

Un talento sprecato Lila, un’intelligenza affinata, astuta, agguerrita, affamata di una conoscenza illegittima nell’ambiente in cui è cresciuta, per nulla riconosciuta. Lila resterà impigliata alla vita del rione nonostante il suo talento martoriato. La sua bellezza sarà continuamente vilipesa. Una ragazza insicura Elena, l’io narrante che decide di raccontare sin dall’inizio quest’amicizia. Diligente, volenterosa, affidabile. Una che tra mille difficoltà riesce a svincolarsi nonostante il disagio in un ambiente “altro” rispetto a quello originario, che si emancipa dalle dinamiche del rione. Ma non aggiungiamo altro: manca ancora un libro alla fine.

A leggere i libri di Elena Ferrante si avverte la sensazione di ascoltare una voce intima che cattura totalmente l’attenzione. Si prova anche un senso di familiarità e di rabbia. Familiarità perché in quelle pagine è come se ci fosse la storia dei nostri padri, delle nostre madri; c’è la ricerca di chi vuole scavare a fondo nella memoria, ripercorrendo le tappe di un’esistenza, oltre alla relazione tra le trasformazioni sociali e le conseguenze su una collettività alle prese con la mutazione, la cui genesi riconduce a un continuo confronto con il proprio passato. Confronto che ci ha proposto, con le dovute differenze, Ermanno Rea in Mistero napoletano venti anni fa. E da qui deriva la rabbia. Abbiamo dovuto aspettare vent’anni! Nelle acque torbide della letteratura odierna, forse è chiedere troppo a quel manipolo di scrittori napoletani che animano il dibattito culturale di riflettere sull’estremo valore di quest’opera. Il romanzo della Ferrante li costringerebbe a fare i conti con la loro mediocrità, con la loro alienazione.