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L'ultimo sogno del medico scrittore senza frontiere

Autore: Annarita Briganti
Testata: La Repubblica / Milano
Data: 3 marzo 2013

Il fondatore di Medici senza frontiere, la più grande organizzazione umanitaria di soccorso medico, dice la sua sulla crisi del capitalismo con un romanzo storico basato sull'ascesa e la caduta di un banchiere del XV secolo, metafora del potere, di cosa rischiamo di diventare. Una storia vera, un bestseller da 250.000 copie in Francia. Jean-Christophe Rufin presenta a Milano L'uomo dei sogni (e/o) in chiusura del Festival de la Fiction Française. Lui, classe 1952, sembra uscito dai suoi libri: scrittore, medico, viaggiatore e diplomatico, ha vinto il Premio Goncourt (il nostro Premio Strega), è membro dell'Académie française (la nostra Accademia della Crusca), nel tempo libero si arrampica sulle Dolomiti. Monsieur Rufin, in che epoca ci porta il suo nuovo romanzo? «La Francia è devastata dalla Guerra dei cent'anni. Giovanna D'Arco, per la prima volta una donna a capo delle truppe, la libera dagli inglesi, ma è condannata al rogo e muore arsa viva. Jacques Couer, il protagonista, vive il passaggio violento dal Medioevo al Rinascimento. Figlio di un pellicciaio, fino a trent'anni non combina nulla. Poi viaggia in Medio Oriente. Invece di combattere gli infedeli con le Crociate, s'inventa il mercato globale, mette su una rete di commercio, crea il capitalismo moderno. Arriva alla corte di Carlo VII e diventa il suo banchiere». "Due eravamo, e non avevamo che un cuore", in epigrafe c'è il poeta François Villon. Anche i banchieri hanno un'anima? «Jacques perde tutto quando s'innamora di Agnès, la favorita del re. Carlo VII, detto il re pazzo, era debole e brutto, aveva un naso mostruoso con cui annusava gli interlocutori per capire se fidarsi o meno, lo tenevano nascosto nei castelli, ma era aggressivo. Alla morte di Agnès, lei nominò Jacques suo esecutore testamentario e lui, che l'aveva fatta ritrarre dal pittore Jean Foquet, che l'accompagnava in ogni viaggio, deve fuggire inseguito dai sicari». Lei è una personalità mondiale. Perché s'immedesima in questa vicenda controversa? «Per pagare un debito. Ho trascorso l'infanzia ai piedi del palazzo Couer a Bourges, siamo nati nella stessa cittadina, in certe sere d'inverno mi sembrava abitato. Mi è capitato di fermarmi davanti a una porticina e sentire sulla maniglia l'impronta tiepida del proprietario. Avevo perfino vagheggiato il progetto di far tornare le sue spoglie da Chio, l'isola in cui è morto. Durante la mia infanzia dura e grigia è stato lui a mostrarmi la via, a testimoniare l'esistenza di un altrove di sole e raffinatezza». Il capitalismo parte bene e poi si rovina. L'alternativa è il volontariato? «Studiavo Medicina, per il servizio militare mi hanno mandato in Tunisia, tra l'altro sbagliando reparto, in maternità invece che neurologia. Tornato a Parigi, in una casa di due stanze, ho fondato Medici senza frontiere contro una politica incapace di risolvere i conflitti e di aiutare i popoli. Ho rinunciato a carriere mondane. Ho fatto per tre anni l'ambasciatore in Senegal e mi è bastato. Ora vivo sulle Alpi francesi, non mi piace la deriva delle onlus. Sono diventate peggio delle istituzioni che contestavamo, vanno in missione nei posti dove gli danno soldi, a prescindere se serva o meno. Chi si occupa della Siria, del Mali, dell'Afghanistan, dell'Africa Occidentale? Ci salverà la scrittura, che per me è la libertà, l'immaginazione per trovare nuovi modi d'azione, il potere dei sogni».