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Romanzo democristo, il cielo basso della politica che fu

Autore: Renato Minore
Testata: Il Messaggero
Data: 20 marzo 2013

Trae in inganno la copertina azzurrata dove la coppietta con ombrello di spalle si protegge dalla pioggerellina fitta e argentea, in un mondo che sembra sospeso e incantato. Non c'è idillio e nessun incanto: il secondo romanzo di Alessandra Fiori (nella foto), II cielo è dei potenti (edizioni e/o, 294 pagine, 18 euro), candidato allo Strega, racconta la scalata al potere dentro la vecchia Balena Bianca di un giovane provinciale che vuole riscattare la propria origine piccolo- borghese. Siamo negli anni della ricostruzione. Il nostro piccolo eroe, avendo come modello negativo un padre che dai clienti si fa pagare a caciotte, inizia la sua ascesa social-politica. Una cavalcata attraverso i sogni e le illusioni di un'Italietta d'assalto e tanto affamata con tutte le tappe canoniche: tessere scambiate come figurine, urne rubate, elezioni, primi incarichi e inciuci, palazzinari, valigette di denaro, «solo una cosa può essere più forte del richiamo del sesso. Non i soldi, ma il potere ». Per esso, spinto dal suo demone, Claudio Bucci, così si chiama l'ambizioso avvocato dell'Agro Pontino poi approdato nei salotti della capitale, baratta i sogni di ragazzo tra intrighi, scappatoie, sotterfugi di un sistema di potere dove «il problema è la lotta tra le promesse vecchie e quelle nuove. Le seconde vincono sempre, perché sono più grosse. Si tratta di riformularle di volta in volta». Un viaggio alla ricerca di tesserati, elettori, correnti, finanziamenti, collette, padrini.

ALLO SPECCHIO
Bucci si racconta come allo specchio in modo assai veritiero e cinico, fiutando le vistose tracce disseminate sulla via che lo ha portato nella gabbia di un potere fin troppo parziale e scomodo, sempre sul punto di essere preso ma mai agguantato davvero, in una nevrotica corsa attraverso stazioni obbligate. Dalla prima elezione in parlamento alla nomina come Ministro in un clima già profondamente mutato, dopo Tangentopoli. In mezzo ci sono eventi clamorosi, come il ferimento da parte delle Br, la vita privata che deflagra con tradimenti e separazioni, una compagnia di giro politico in cui ben identificabili sono i vari Sbardella, Evangelisti, Petrucci pur protetti da nomi da fiction. Come il più riconoscibile, De Sanctis-Andreotti con l'adamantino convincimento: «Alla base c'è il consenso e se la società è merda per ripulire le fogne bisogna sporcarsi». Il cielo dei potenti non è soltanto una copia, sia pure nella virtualità letteraria, di un mondo politico Dc ormai defunto, agevolata nel ricordo dalla sapienza cognitiva della Fiori che è figlia di un politico, Publio, nei cui tratti si possono leggere, con un certo agio ma anche con le dovute differenze, le imprese di Bucci. Nel gioco pur legittimo delle sovrapposizioni, la lettura ad personam porta fuori strada, rispetto all'ambizione del libro, in parte realizzata e talora deviata da un certo intento troppo cronologico del racconto e da certe semplificazioni psicologistiche nei rapporti tra protagonisti. Semmai a guidarla può essere il pensiero di Musil, «Chi afferra la massima irrealtà, plasma la massima realtà». Il romanzo racconta con ironia e ferocia, ma anche con curiosità assai mimetica, i modi, i riti, le forme, le cerimonie, di un potere politico e politicante scrutato dall'interno con sguardo da entomologo, nel suo movimento cieco, nel suo continuo e ansiogeno rigenerarsi senza progetto e gioia. Dall'odore di porchetta e di sagra paesana degli inizi fino alla conclusiva autoassoluzione di Bucci: «In fondo ho corso parecchio, vinto abbastanza e anche quando ho perso non si può dire che non l'abbia fatto alla grande».