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Nuovi barbari e nuovo razzismo

Autore: Alessandro Leogrande
Testata: Minima & Morali
Data: 6 aprile 2013

Nel gennaio del 2006 un giovane ebreo parigino di origini marocchine cresciuto in una famiglia modesta, Ilan Halimi, viene sequestrato, seviziato, torturato e infine ucciso da una banda di balordi di banlieue. La gang (composta da ragazzi altrettanto giovani, quasi tutti immigrati di seconda generazione di origine africana, conve rtitisi all’islam in Francia) è convinta che “il giudeo” scelto a caso, senza conoscerlo, per il solo fatto di essere “giudeo”, sia “pieno di soldi”. E quando qualcuno dei suoi gregari fa notare al boss della banda, l’ivoriano Youssouf Fofana, che la famiglia in realtà non ha soldi, che Ilan è di umili origini e fa solo il commesso in un negozio di telefonia, questi ribatte che gli ebrei sono una comunità coesa, “si aiutano fra di loro”, e qualcuno certamente pagherà.
A questa vicenda che ha sconvolto la Francia, e riproposto un mix esplosivo di alienazione urbana, violenza e antisemitismo  primitivo, Morgan Sportès (già autore di L’appât, la cui trasposizione cinematografica – di Bertrand Tavernier – vinse l’Orso d’Oro al Festival di Berlino nel 1995) ha dedicato un romanzo-inchiesta – o, se si vuole, non-fiction novel – impressionante: Tutto e subito (edizioni e/o, traduzione di Federica Alba). Cosa passa nella testa dei barbari? Chi sono i carnefici, che vita hanno avuto, da quali famiglie provengono, come hanno organizzato “il colpo”, come si sono divisi i compiti, cosa li ha portati a tenere legato e torturare, picchiandolo e spegnendo sul suo corpo innumerevoli cicche di sigarette, un uomo percepito come una “cosa”, “un bottino”, per tre settimane, giorno dopo giorno, ora dopo ora?
Alla base di Tutto e subito c’è un vastissimo e meticoloso lavoro di ricerca. Sportès ha seguito il processo ai componenti della  cosiddetta “gang dei barbari”. Ha letto le carte processuali, visitato i luoghi della tragedia, intervistato parenti e conoscenti della vittima e dei suoi aguzzini. Nel romanzo-inchiesta non c’è niente di inventato, niente di edulcorato, niente di aggiunto, tranne il fatto che ai protagonisti viene cambiato il loro nome: Ilan è Élie, Youssouf diviene Yacef. Ciò che però fa la differenza sono  essenzialmente due dettagli:  a) il montaggio, cioè la capacità di mettere-in-scena questa mole incandescente di materiali, traendo a sé delle forme letterarie che diano un’ampia struttura architettonica al racconto; b) lo scavo psicologico dei personaggi – ciò che in genere si perde, o rimane in ombra, nelle carte giudiziarie, e che invece è determinante per gettare luce su una vicenda del genere.
Quando in una intervista recente pubblicata dalla rivista “Studio”, è stato chiesto a Sportès se tra i suoi modelli ci fosse il solito A sangue freddo di Truman Capote, lo scrittore francese di origini algerine ha risposto di aver trovato una maggiore fonte di ispirazione in Se questo è un uomo di Primo Levi. Non solo, credo, perché quel libro è in fondo uno dei massimi esempi di non-fiction, per quanto non lo si dica mai. Non solo per l’evidente tema dell’antisemitismo. Ma soprattutto per lo sguardo morale, e non moralistico, su un tema assoluto: la banalità del male e la sua riproduzione.
Ciò che sorprende negli aguzzini di Tutto e subito è l’elementarità del loro antisemitismo. Esso non è sorretto né da ideologie  neonaziste, né dal fanatismo islamico, benché (dato da non sottovalutare) molti di loro abbiano trovato una risposta al vuoto della periferia proprio nella conversione all’islam. L’odio per gli ebrei si presenta piuttosto allo stadio brado. Tutti gli aguzzini dicono di aver fatto quello che hanno fatto “per soldi”, e perché pensavano che “il giudeo” (per il solo fatto di essere “giudeo”) ne avesse tanti.
L’antisemitismo allora si presenta come uno dei relitti putridi che popolano l’immaginario bacato della periferia, di ragazzi sradicati che non hanno avuto niente dei piccoli vantaggi dei loro padri negli anni sessanta o settanta, e che invece sono stretti tra alienazione urbana, assenza di lavoro, fallimento della scuola e – soprattutto – asfissianti miti consumistici. Da qui, il “tutto e subito” del titolo come unica risposta al baratro: a un certo punto, Yacef è definito “Rastignac di un’Europa post-industriale avviata verso il naufragio”. Tuttavia Sportès è pienamente consapevole che questa fragile interpretazione sociologica non è in grado di afferrare tutto il male che si è scatenato, di spiegarlo fino in fondo. Forse, prima ancora di capire, è importante raccontare (senza tralasciare niente) quello che è accaduto, ed è questa la sua strategia narrativa. Anche il male degli esclusi può essere infinitamente fascista, e va raccontato senza volgere lo sguardo da un’altra parte.
Per certi versi, Tutto e subito è agli antipodi di L’odio di Kassovitz, film che a distanza di anni appare quanto mai insulso, manicheo, auto-compiaciuto, modaiolo. Qui le zone d’ombra sono molto maggiori, il vuoto umano e sociale che Sportès riesce a riprodurre toglie il respiro. Il silenzio di chi, nei giorni del sequestro, sapeva e non ha parlato è inquietante. E poi c’è la vittima: Ilan-Élie. Un ro manzo-inchiesta (o reportage narrativo o non-fiction novel ) esce fuori dal coro solo quando si rivela capace di restituire dignità alle vittime. Di ricostruire il loro volto, stando dalla loro parte, proprio nel momento in cui esse vengono ridotte a “cose”. Tutto e subito, questo, è in grado di farlo.