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La rivolta di un corpo immobile

Autore: Giuseppe Lupo
Testata: Stilos
Data: 25 settembre 2007

Il problema della lingua e della comunicazione verbale quale veicolo di identità si pone al centro di questo romanzo-apologo, costruito in maniera originale sul genere del “monologo muto”, con cui Paolo Fallai narra la vicemda di dolore (e di espiazione) capitata a un giovane giornalista, vittima di un grave incidente stradale. Gran parte del libro si ambienta in un luogo asettico – la camera di un ospedale – che il protagonista impara a conoscere attraverso i rumori e i suoni (ha gli occhi bendati) o le visite dei aprenti che rappresentano l’unico contatto con l’esterno. Potrebbe sembrare una vicenda dai contorni molto quotidiani (“senza morale”, leggiamo nella quarta di copertina) se non ci fosse un particolare che getta una luce inquieta sul racconto e che invece gli attribuisce uno spessore morale: il protagonista vive la fase di convalescenza in una solitudne resa maggiormente drammatica da uno stato di afasia più o meno volontario.

Si tratta, dunque, di una situazione che presenta un forte carattere kafkiano: da un lato abbiamo un corpo imprigionato su un lettino, che vorrebe tornare allo stato di normalità; dall’altro il bisogno di ribellarsi all’intero apparato di convenzioni e consuetudini che circondano la vita del protagonista. Il quale, non dimentichiamolo, di mestiere è giornalista, quindi fa delle parole il mestiere con cui guadagnarsi da vivere. E per lo più lavora in una delle numerose emittenti televisive locali, abituate a rubare immagini in misura deontologicamente scorretta pur di accaparrarsi audience. La realtà è ben più cruele di quella che si avverte a un grado di lettura superficiale e Fallai sa scrutarla con intelligente scaltrezza. I freni, cui allude il titolo – sia nell’accezione del linguaggio automobilistico (da cuis cturisce il disastro dell’incidente), sia nel significato di “impedimenti” -, riproducono moltiplicandola l’immagine di una condizione esistenziale mutila non tanto dal punto di vista fisico, quanto soprattutto etico.

Si ha quasi la sensazione, insomma, che il personaggio attorno a cui ruota il racconto, proprio perché continua a stabilire un rapporto con gli altri solo attraverso labili codici di comunicazione (gli occhi quando gli toglieranno le bende, i cenni con le mani quando riacquisterà l’uso dei muscoli), non voglia più parlare.