Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

Trinacria Park

Autore: Marilù Oliva
Testata: Carmilla Online
Data: 30 aprile 2013

Ottavo pezzo della collezione sabot/age (collana    di edizioni e/o diretta da Colomba Rossi e curata da Massimo Carlotto), con un’interessante prefazione del nostro Valerio Evangelisti (Sicilia viva, sotto stragi di bugie), Trinacria Park (euro 16, p.230) è il secondo romanzo del catanese Massimo Maugeri, scrittore, conduttore radiofonico e operatore culturale ben noto al web in virtù del suo blog letteratitudine.it.Il Trinacria Park eponimo del titolo è una struttura destinata a diventare la più grande attrazione turistica d’Europa, ubicata nell’immaginaria Montelava (e il nome suggella nell’immediato il vincolo col vicinissimo vulcano), un’isola-pattumiera trasformata – negli intenti degli ideatori del progetto – in un luogo da sogno.


Al bando le industrie indiscriminate e le concessioni vergognose, l’isoletta tornerà a respirare, col patrocinio di Remigio De Curtis, presidente della Regione, di magnati americani ed altre eminenze politiche nostrane che occhieggiano al mercato, pur velando i loro interessi con una patina umanitaria: Il mondo è cambiato. La politica moderna non può non basarsi anche su logiche di marketing, laddove queste si sposino con l’interesse della collettività.

L’ambiguità dell’assunto è la chiave dell’intero romanzo, grande, riuscitissima metafora della finzione, dell’occultato, della menzogna pubblica e privata, dell’apparenza che copre gli ossimori:

Ci sono ricordi di cose mai udite, mai viste, mai vissute, eppure così forti e vividi e reali che penetrano dentro e scavano e affondano ed esplodono e fanno così male che paralizzano il fiato in un urlo silenzioso. Gli urli silenziosi sono i peggiori. Come le lacrime asciutte.

Oggetto letterario difficile da definire, scrive Valerio Evangelisti. Indefinibile proprio, aggiungo io. Non è un thriller ma ne ha l’andamento di sospensione e attesa terribile, con una solida scrittura sempre variata, mescola mirabilmente ad elementi attuali, giornalistici, mitici. L’inizio crea grande attesa, il fermento per la prossima apertura del parco-divertimenti è accresciuto dalle interviste con cui la preparatissima Marina Marconi incalza gli ospiti. Le risposte sfuggono e arrivano, si ritirano eppure paiono decise.

Il vissuto dei protagonisti si interseca alle vicende attraverso la tecnica del flash-back ed ecco che scopriamo i loro segreti, le loro tragedie – o almeno crediamo, ma verremo in parte smentiti –, le loro insicurezze, le loro perversioni. Le contraddizioni, anche, come quelle dell’attore affetto da una balbuzie in grado di scomparire mentre recita o della bella e tenace direttrice del parco Monica Green, alle spalle un passato drammatico e davanti un futuro radioso, almeno così tutto lascerebbe presagire.

Poi il rovesciamento e la festa si trasforma in sciagura: una terribile epidemia provoca il decesso di decine di persone, senza risparmiare nessuno in base alla carica, mietendo vittime in maniera democratica tra artisti, manovalanze e dirigenze. Attacco terroristico? Armi batteriologiche o cos’altro? A queste domande, poi, si intreccia un leit-motiv suggestivo, quello del mito. Pare che siano stati ritrovati papiri scritti in greco antico, risalenti al II secolo a.c., che narrano le vicende delle tre Gorgoni. E con un voluto rimbalzo di sovrapposizioni, alle tre sorelle mitologiche vengono corrisposte le tre donne del romanzo: le già citate Marina Marconi, Monica Green e l’attrice Angela Metis. Ma è un gioco di specchi e, di rimando in rimando, chissà cosa apparirà nell’ultimo…

Così i progetti iniziali vanno in fumo, anzi: in cenere. Montelava, che doveva essere una struttura innovativa, colma di confort e predisposta di aree divertimento (discoteche, cinema, teatri, studi televisivi, centri benessere…), si avvia velocemente alla rovina. Montelava ineffabile, triangolare e spigolosa come la Sicilia, calpestata e occupata come la Sicilia, quindi emblema della stessa, ma per esteso anche di tutte le terre violentate e soggette a dominazioni a catena. Ospitale ma mica tanto, debole come i suoi abitanti – si sostiene verso la fine – protesa verso l’individualismo, con un popolo di burro, facile da penetrare, gioca la parte dell’accoglienza senza palesare l’indole di furbizia spicciola. Eccola Montelava, ventiduemila ettari di isola che non c’è.

Solo un siciliano poteva scrivere un romanzo così, un romanzo che intrappola e avvince, certo sperimentale ma senza sbavature – e qui: nel perfetto equilibrio tra dura concretezza, fantasia, padronanza narrativa sta la grande abilità dell’autore –, solo un siciliano che ama la sua terra e si strugge perché quella viene depredata poteva raccontarci quali effetti essa possa provocare, senza lasciarci in balia di dubbi:

Lui lo chiama “effetto isola”.

[…] Non è un capogiro, no. E nemmeno senso di disorientamento. È un’altra cosa, l’effetto isola. È amore per il luogo in cui si è nati, è nostalgia per un passato irrisolto, è senso di colpa per scelte incerte e opinabili. […] È una malattia che scorre nel sangue di chi percepisce la ricchezza della storia, la bellezza della natura, il peso delle tradizioni. L’effetto isola è un virus, un male sano e oscuro che va incontro a pochi. I più lo reggerebbero mal volentieri, perché non aiuta e vivere bene né a essere moderni ed efficienti.