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CUORE CAVO di VIOLA DI GRADO

Autore: Sandro Capodiferro
Testata: Art-Litteram
Data: 15 aprile 2013

Cercherò di entrare tra le righe di questo libro con passi lievi, moderati e calmi, come farei in un sogno privatissimo, per non disturbare, con discrezione e rispetto per l’equilibrio onirico del possessore.Se fossi per caso capitato nel sogno di qualcuno certo sarebbe un sogno anch’esso, ma averlo vissuto pagina dopo pagina nelle mie sere di raro relax ne fa oggi una certezza di vissuto, una traccia scritta nella mente, “indelebile e sorprendente” come “Cuore cavo” di Viola Di Grado (Edizioni E/O) merita di essere definito.Una ragazza di oggi, Dorotea, una donna ancora alla ricerca della sua solida identità, del suo percorso futuro, decide di interrompere il suo viaggio terreno togliendosi la vita, lasciando così un mondo nel quale le incomprensioni segnano l’esistenza, come fanno i solchi in un campo arido e spaccato dal sole. Seppure le prime inquadrature di questo “film in carta” potrebbero sembrare crude e dolorosamente descritte, la sorpresa è proprio nel fregio stilistico dell’autrice. Asciutta, discreta, a tratti poetica e soave, porge la parola al lettore come un’attrice shakespeariana farebbe dal palco: senza giudizio, scevra da considerazioni o valutazioni che potrebbero indurre il lettore ad un’interpretazione faziosa e per questo evidentemente errata. Ebbene questa donna, che già nella prima pagina abbandona le sue vesti terrene per indossare quelle eterne di un ricordo, trova nel suicidio una rinascita, un punto di vista privilegiato dal quale osservare ciò che nonostante la sua dipartita continua ad accadere e a svolgersi, come conseguenza di ciò che è stato e continuerà ad essere, a prescindere lei. Il limbo etereo nel quale la protagonista muove la sua anima è vitale quanto paradossale  normalità, mentre l’alloggio del suo corpo in continua trasformazione  è descritto con tale dovizia di particolari e riferimenti scientifici al limite di un trattato di entomologia. Se dovessi fare una valutazione di genere “Cuore cavo” è al crocevia tra un fantasy, un mémoire e  un saggio psicologico. Gli ingredienti ci sono tutti e assolutamente ognuno dosato con abilità per ottenere l’effetto, lasciare il segno, affascinare e spingere il lettore a dispiacersi della sua intensa brevità. Personaggi fantastici si mescolano a comprimari reali, amicizie dell’oltretomba vanno a braccetto con i parenti più stretti della suicida: la madre di Dorotea, la zia, una figura paterna assente e volutamente poco delineata, e tante anime amiche. L’intreccio narrativo è così ben strutturato da rendere possibile qualsiasi incontro o conoscenza. Ed ecco che un feto diventa il pupattolo col quale giocare, una moltitudine di persone conosciute in vita l’occasione di un nuovo incontro dall’altra parte della barriera esistenziale, il racconto di una zia venuta a mancare anch’ella in circostanze sulle quali non voglio dilungarmi, il tema di fondo di un destino segnato. C’è qualcosa di intensamente espressivo nello scorrere di questo libro, ci sono immagini tagliate con il bisturi e suggerimenti alternativi che lasciano ampio spazio ad ogni più poetica interpretazione. C’è anche amore nella storia di Dorotea, forse c’è soprattutto amore. Un amore scritto e vissuto in ogni parola, in ogni frase. Invaghirsi di un giovane vivente è solo un accenno, quel pizzico di entusiastica speranza che non poteva mancare nella vita / non vita di una ragazza che si uccide. Tutto il resto dell’amore è espresso nelle abitudini di quest’anima che, nonostante i suoi trascorsi in vita, continua ostinatamente a reclamare il suo posto nelle vite dei suoi cari, in primis di sua madre. Trarre conclusioni nel rapporto madre figlia descritto dalle pagine di Viola Di Grado sarebbe come voler trovare un perché a un’eruzione vulcanica, alla gemmazione di un mandorlo o al tuono, al lampo. La scienza spiega il perché fisico ma quello morale è solo il cuore a poterlo ragionevolmente descrivere. Come dicevo, è proprio la mancanza di un giudizio spudorato, di una reazione violenta alle ingiustizie velatamente raccontate, a tessere la resistente trama del racconto, sulla quale ci si muove senza paura di dover prendere posizione alcuna. In fin dei conti la vita sopravvive alla morte attraverso ciò che è: pura essenza e sentimento, senza i quali non saremmo mai stati nulla se non ossa, muscoli e organi “vitali” destinati alla terra, nutrimento di molti, concime di ciclici smaltimenti organici. Cosa non c’è in Cuore Cavo? Non c’è la paura, non c’è l’ansia, non c’è quel pensiero che assale ognuno di noi pensando al “dopo di noi”, non c’è l’angoscia che prende alla gola immaginandoci al chiuso di una cripta funeraria di Poeiana memoria. Solo una certezza: se c’è una cosa che distingue un buon libro da uno che avrebbe potuto esserlo questa non è altro che la voglia e l’impegno infusi dall’autore nell’ ispirare il lettore a superare le proprie convinzioni, invitandolo in questo caso ad aprire gli occhi ai colori più inattesi che, come quelli della vita, risplendono oltre il tempo di una stella.