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Il cielo dei potenti

Autore: Luca Di Ciaccio
Testata: Ludik
Data: 7 maggio 2013

Il cielo dei potenti è un privilegio e una maledizione. Ogni osanna assomiglia a un’adulazione, ogni invettiva ha il retrogusto dell’invidia e le commemorazioni sembrano tutte tagliate su misura per reinventarsi un’innocenza. “Ding dong, the witch is dead, which old witch?” verrebbe da cantare come nel paese di Oz. Non importa, il fantoccio intanto è bruciato, come quella vecchia signora su a Londra, qualche settimana fa. Oggi che il consenso bisogna confermalo ogni minuto, inseguendo umori altalenanti e cinguetti volubili, sempre dicendo quello che gli altri vogliono sentirsi dire, non resta molto spazio per vecchie signore che cavalcano le ideologie come un carrarmato o per divi indecifrabili come il calco di una gobba secolare sulle poltrone del Senato. Il potere è pure una caverna oscura, una zona d’ombra, un riparto di fortuna. Così si difende, e così in qualche modo da esso ci si difende. Assordati dagli invocatori di verità, ognuno dei quali la sua sola verità tiene, quella sola cerca, e per quella soltanto ogni altra va condannata alla dannazione. “Tutti a pensare che la verità sia una cosa giusta, e invece è la fine del mondo, e noi non possiamo consentire la fine del mondo in nome di una cosa giusta” diceva il Divo Giulio Andreotti, quello cinematografico e forse in un angolo remoto di sé quello vero. E’ sottile la linea di confine tra il potere com’è e il potere come spesso rischia di diventare, il più delle volte a nostro danno.

“Perché il problema è sempre lo stesso: la lotta tra le promesse vecchie e quelle nuove. Le seconde vincono sempre, perché sono più grosse. Si tratta quindi di riformularle di volta in volta, ma di fantasia ne ho sempre avuta in abbondanza” scrive Alessandra Fiori nel suo romanzo di famiglia che si chiama “Il cielo è dei potenti”. Un giovane e ambizioso provinciale che senza eccessiva passione, per riscattare la sua condizione piccolo borghese dell’agro romano punta al potere, perciò s’iscrive alla Dc e fra mille angosce, soddisfazioni, alleanze, abbandoni, mazzette, postulanti e tranquillanti, poltrone ministeriali e sagre di paese, diventa consigliere regionale, poi onorevole, poi sottosegretario, poi ministro e infine nulla. E quando si guarda indietro, ferito negli affetti, l’onorevole Bucci nemmeno sa se ce l’ha fatta o no, dipende. Un giorno si ritrova abbagliato davanti alle luminarie di un comizio berlusconiano, e capisce che un mondo è finito: “Noi che eravamo stati così brutti, unti, grassi, con le nostre giacche a quadri e la camicia stropicciata, noi eravamo già incredibilmente lontani”.

Su questa umanità giganteggia la figura di De Sanctis, nella quale è facile riconoscere l’ombrosa sagoma di Andreotti. “Della politica, come del mondo aveva una concezione semplice ed elitaria al tempo stesso, il suo sistema ne era la diretta espressione. Alla base c’è il consenso e se la società è essenzialmente merda, per ripulire le fogne bisogna sporcarsi. Lui se ne guardava bene, ovviamente. Di conseguenza gli alleati migliori erano i peggiori”. Chissà dov’è il vero potere oggi, mentre noi ancora ci attardiamo a fare battute su scatole nere ormai scadute. Di certo il vero potere non è gratis, è illudersi di non pagarne il prezzo è da fanatici, o da farabutti. Logora, diceva quello. Mentre a chi non lo ha e non riesce di cambiarlo rimane soltanto l’istinto di sputarci addosso, farne un capro espiatorio, vivo o morto non importa. Ai posteri l’ardua sentenza, si dice in questi casi, salvo accorgersi che i posteri spesso non ricorderanno nulla.